Amarcord: Intervista a Luciano De Crescenzo uno dei cultori della tradizione natalizia

di Teresa Carrubba

L’odierno abete natalizio, esuberante di decori e scintillii, è in realtà il risultato di una mescolanza di tradizioni remote. E’ possibile attribuirne l’origine a un’usanza pre-cristiana secondo la quale, in pieno inverno,venivano tagliati rami di sempreverdi sui quali fissare candele accese per festeggiare il dio del freddo. I Romani decoravano i loro alberi con piccoli oggetti e ninnoli durante i Saturnali. I Druidi onoravano il dio Odino appendendo frutta e altre offerte ad una pianta. Gli antichi Egizi, a fine anno, portavano nelle proprie case piccoli esemplari di palma da dattero come simbolo d’immortalità. Ma senza andare troppo in là nel tempo, nella Germania medievale, durante l’Avvento, venivano organizzate rappresentazioni teatrali a tema religioso, riguardanti soprattutto Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre. Sul palcoscenico non poteva mancare il “fatidico” albero della vita, che negli anni divenne popolare anche al di fuori delle rappresentazioni, antesignano del moderno abete di Natale. La paternità della prima decorazione sembra andare a Martin Lutero. Fuori per una passeggiata alla vigilia di Natale, fu così colpito dalla distesa di stelle che rischiarava la notte da voler riproporre la stessa suggestione appendendo delle candele accese ai rami di un abete.

 

Ma se la patria riconosciuta dell’albero di Natale è la Germania, agli italiani spetta la primogenitura di quel suggestivo, immutabile scenario che è il presepe. Fu San Francesco a realizzarlo per primo, nel 1223, a Greccio. Un presepe vivente.

Poi la Natività viene rappresentata a Napoli su basi artistiche di altissimo livello, nel Quattrocento degli Angioini e nel Cinquecento degli Aragonesi ed è nel Settecento che la sacra ricostruzione assume la massima pregevolezza. Sotto Carlo III di Borbone nascono vere opere d’arte. Il sovrano stesso dedicò sempre un’attenzione particolare all’allestimento del presepe di corte, con l’aiuto della consorte, Maria Amalia, la quale ricamava personalmente gli abiti dei pastori. Un interesse, quello per il presepe, che dalla corte si diffuse a macchia d’olio in città e altrove creando anche una sorta di competizione quanto a pregio e originalità.

Chi poteva permetterselo, commissionava i pastori a illustri artisti dell’epoca come Giuseppe Sanmartino, Nicola Ingaldi, Francesco Celebrano, Giovanni Battista Polidoro, Lorenzo Vaccaro, Giuseppe Gori, Nicola Vassallo, Lorenzo Mosca. Molti pastori napoletani del Settecento firmati da questi artisti sono custoditi nelle vetrine dei musei, persino a New York e a Monaco di Baviera. Altri, fanno bella mostra di sé nelle vetrine di infervorati collezionisti che si aggiudicano le ambite statuine pagando somme di tutto rispetto.

E proprio da quella scuola di scultori derivano per tradizione le superstiti botteghe di pastorari ancora attivissime in via San Gregorio Armeno, una suggestiva strada di Napoli chiusa tra due file di palazzi storici. E’ lì che nascono ancora splendide statuine di creta, modellate all’uso antico, a metà tra artigianato e arte.

Albero e presepe. Due simboli natalizi assurti a tradizione in quasi tutte le famiglie. C’è chi li allestisce entrambe. E c’è chi sceglie. Non per una motivazione esterna e contingente, ma per un’intima inclinazione, quasi per una predisposizione genetica. Presepisti o Alberisti si nasce.

 

Chi meglio del professor Luciano De Crescenzo poteva far luce su questa intrigante differenza? Tempo fa o abbiamo intervistato

D.- Quella tra Presepisti e Alberisti è una distinzione universale o solo napoletana?

R.- Naturalmente solo napoletana. La distinzione tra Presepisti e Alberisti secondo me è talmente importante che andrebbe segnalata persino sulla carta d’identità. Così come viene indicato Maschio o Femmina, deve esserci scritto Presepista o Alberista. Questo soprattutto per evitare il rischio di fare un matrimonio misto che sarebbe un fallimento in partenza. Un Presepista non può sposare un Alberista, s’inguaia la vita!

D.- Qual è la profonda differenza tra le due categorie?

R.- L’Alberista è amante della forma, il Presepista è amante del sentimento. Una differenza davvero insormontabile. Per fare un bell’albero di Natale basta avere soldi. Più soldi si hanno e più l’albero viene bello, ricco di palle colorate, luci e decorazioni persino d’argento. Per fare il presepe, invece, ci vuole il sentimento. L’albero è bello solo quando è finito e si possono accendere le luci, il presepe invece no, il presepe è bello quando lo fai o addirittura quando lo pensi. Quelli a cui piace l’albero di Natale sono dei consumisti, il presepista, bravo o non bravo, diventa creatore.

 

 

D.- Fare il presepe è come seguire una tradizione?

R.-  Non solo. Bisogna sentirlo dentro, il presepe. I pastori devono essere quelli di creta, fatti a mano, un poco brutti e soprattutto nati a San Gregorio Armeno, nel cuore di Napoli. Non fa niente se molti sono rotti, l’importante è che il capofamiglia li conosca per nome uno per uno e che di ognuno sappia raccontarne la storia. Io avevo uno zio,  zio Alfonso, il quale in prossimità del Natale da sopra un armadio prendeva uno scatolone enorme e uno alla volta tirava fuori tutti i pastori, davanti a noi nipoti che stavamo a guardare. Di ogni pastore raccontava la storia. “Questo è Benito che non tiene voglia di lavorare e che dorme sempre, questo è il padre di Benito che pascola le pecore sopra la montagna, queste sono le pecore di Benito e questo è il -pastore della meraviglia-. Perché meraviglia? Quando nacque il bambino Gesù per un attimo tutto si fermò, gli uccelli rimasero sospesi nel cielo, i fiocchi di neve si fermarono a mezz’aria e il -pastore della meraviglia- si fermò con le braccia spalancate e con l’espressione di stupore”. Tuttavia nel presepe napoletano odierno ci sono delle contraddizioni dovute alla presenza di figure anacronistiche, come il giornalaio. Ma noi ragazzi ci eravamo affezionati a tutti i personaggi e non ci facevamo caso.

 D.- I pastori di creta sono fragili

R.- Certo e purtroppo si rompono. Ma in qualche modo i pastori di zio Alfonso erano immortali. Lui riusciva sempre a sistemare anche i pastori rotti nel presepe in modo che nessuno si accorgesse che avevano un braccio o una gamba di meno. Li metteva dietro una siepe o appoggiati a un muretto. Mi ricordo un pastore che ogni anno perdeva un pezzo tanto che alla fine ci rimase solo la testa, ma zio Alfonso non ci rinunciò e lo piazzò dietro la finestra di una casetta.

 D.- Presepisti o Alberisti si nasce?
R.- Ci si nasce. E’ un modo d’essere, è credere nel sentimento o nell’esteriorità. Sono due razze assolutamente diverse. Io, Presepista, una volta ho conosciuto una donna Alberista e con lei non riuscivo ad andare d’accordo. Non ci capivamo. Persino nel fare l’amore era diversa. Era un’Alberista.