ROBERTA GALLETTA


Fuenteovejuna

Si è svolto recentemente alla Casa delle Letterature a Roma l?incontro ?Alessandro Fersen: un omaggio? organizzato dal Dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo dell?Università di Roma ?La Sapienza?, in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il Civico Museo dell?Attore di Genova e la Casa delle Letterature. Durante la manifestazione è stato presentato e proiettato il DVD ?Alessandro Fersen. L?essere in scena? curato da Paola Bertolone e realizzato dal Dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo, attraverso il quale è stato possibile vedere per la prima volta documenti e filmati rari provenienti dagli archivi Rai e dal Fondo Fersen, quest?ultimo recentemente donato dalla figlia del regista, Ariela Fajrajzen, al civico Museo dell?Attore di Genova.

 

?L?idea di dedicare un omaggio ad Alessandro Fersen ? ha detto Silvia Carandini, direttore del Dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo ? nasce dalla constatazione dell?unicità della persona e dell?attività del regista e drammaturgo polacco nel panorama teatrale del dopoguerra in Italia?. ?Allievo di Giuseppe Renzi e Giorgio Colli, due importanti filosofi italiani della prima metà del Novecento – ha continuato Silvia Carandini – Fersen portò nella sua attività, prima di regista e poi di maestro di recitazione, quel retaggio culturale che era stato alla base della sua formazione durante gli anni  giovanili e che lo videro prima a Genova, poi in Francia e poi in Svizzera durante il periodo delle leggi razziali. Contribuì in modo determinate ad infondere nuovi fermenti che saranno fondamentali per il successivo sviluppo del lavoro teatrale italiano ed europeo del novecento, fondando un nuovo modo di lavorare sull?attore: le sue ricerche costanti lo portarono infatti alla creazione di una nuova tecnica teatrale di natura antropologica, il mnemodramma, il dramma della memoria che permetteva agli attori di autoconoscersi e di esprimere la propria identità profonda, base primaria per  qualsiasi lavoro attoriale?.

La fantesca
Figura di straordinaria importanza testimoniata non solo dall?enorme quantità di documenti conservata presso il Civico Museo dell?Attore di Genova, ma percepita soprattutto dalle parole degli stessi allievi intervenuti a rendere omaggio al grande uomo di teatro, Fersen è stato ricordato  anche dalle parole commosse della figlia Ariela. La sua testimonianza ha gettato anche una luce sconosciuta ai più su quell?attività di Fersen forse poco chiara anche e soprattutto a se stesso: la scrittura.  ?La scrittura tout court è stata il filo coerente che ha legato tutta la vita di mio padre? – ha detto Ariela Fajrajzen ? il quale ha iniziato a scrivere a dodici anni e non ha più smesso per oltre cinquant?anni, riempiendo tantissimi taccuini che sono la viva testimonianza del fatto che la scrittura fosse la sua grande passione?.

 

Leggendo la pagine di appunti del regista si ha l?impressione di vivere quegli anni e di assistere a tutte le grandi trasformazioni del dopoguerra italiano. La scrittura ha accompagnato infatti tutta l?esistenza di Fersen perché scrivere voleva dire essere libero. ?Quando mio padre non scriveva ? ha continuato la signora Ariela ? cadeva in depressione ed io, che provavo una forte ammirazione non solo per il padre ma soprattutto per l?artista che rappresentava, capivo che la vera ragione di tutta la sua vita era la scrittura. Potrei dire che l?esistenza di mio padre era come un ruscello entro cui scorreva l?acqua della scrittura dove ai lati si aprivano costantemente tantissime divagazioni rappresentate dal teatro, dall?arte, dalla filosofia, dalla drammaturgia, dalla recitazione, dal cinema?.

Leviathan
Nel 1936 Fersen pubblica la sua prima opera: si tratta della sua tesi di laurea, ?L?universo come gioco? cui seguiranno non moltissime altre pubblicazioni rappresentate dai copioni di regia con annotazioni che riguardano la messinscena proprio per il carattere immateriale del suo archivio.

Proprio dell?immaterialità dell?archivio di Fersen ha parlato Paola Bertolone, responsabile scientifico del Fondo Fersen al Civico Museo dell?attore di Genova e sua allieva. ?Nel fondo che ho avuto occasione di studiare per prima ? ha commentato la studiosa teatrale ? ci sono i materiali di ricerca che hanno caratterizzato gli anni dell?attività della sua scuola. Ma c?è anche un aspetto nuovo che ho potuto scoprire attraverso lo studio di questi documenti che sono intrisi  dell?attività intellettuale del pensiero di Fersen: la loro immaterialità che complica la trasmissibilità del suo pensiero. L?impulso dato all?organo della memoria non può essere archiviato ma è proprio su questo che si fonda il mnemodramma: è per questo che possiamo dunque parlare di un aspetto immateriale di questo fondo. Nei testi che Alessandro ci ha lasciato troviamo infatti tutto quel teatro utopistico, polemico e critico che rappresentava il lavoro di ricerca della sua scuola. Il suo studio ha rappresentato il primo laboratorio di ricerca teatrale italiana, la cui meta era rappresentata dall?ampliata libertà creativa per l?autore e dall?intensificazione dell?attore?.

Fersen
Punto cardine della ricerca pluridecennale della scuola Fersen è stato lo sganciamento della sua ricerca teatrale da uno scopo definito. Voleva così recuperare l?idea originaria del teatro, quel teatro rappresentato da un?idea incontaminata dove si assiste allo scardinamento della scatola scenica.  Fersen era un italiano non italiano, un uomo cui piaceva conoscere, uscire dalla retorica e dall?enfasi della recitazione. Questo era il senso della sua scuola che fu frequentata da attori oggi famosi quali Arnoldo Foà e Paola Pitagora e che si sono confrontati per primi con l?esperimento del mnemodramma. Questo è stato sicuramente il baricentro di tutto il lavoro del laboratorio teatrale: come uno sciamano Fersen guidava i suoi allievi in quest?esperienza folgorante dove l?attore, così come lo concepiva il regista polacco, doveva essere prima di tutto un ricercatore, un individuo di passaggio. In questo stato di stasi, di trance stava il nodo del mnemodramma: aderire al fondo dionisiaco che è dentro di noi ed esprimere questo stato in visioni voleva dire fare teatro, ritrovando la parte più sconosciuta di se stessi.

 

L?attore doveva difendersi dalla routine, dalla mediocrità del suo lavoro ed era questo che si imparava alla scuola di Fersen, una scuola che era il luogo dove gli allievi sospendevano veramente la loro inconsapevolezza per acquisire quell?unica certezza fondamentale per la loro vita di attori: vivere dentro, vivere in simbiosi con l?arte dentro, ed intuire la dimensione più profonda della complessità umana. Diversamente non sarebbero mai stati attori.