Categorizzare i generi letterari ha fatto la fortuna dei tanti in cerca di una identità editoriale riconoscibile e ingabbiato gli indefinibili in sottocategorie come il teatro dell’assurdo, ponendo il lettore nella deludente aspettativa di conoscere e riconoscere prima della lettura il contenuto o lo stile di un’opera.
Il libro di Federico Longo, “Vorrei fare il postino” (L’Erudita Febbraio 2013), già presentato al pubblico e alla stampa in diverse occasioni, ha suscitato un dibattito che ritengo interessante ora che mi trovo a presentarvelo.
Che libro è? Di che parla? Ma è autobiografico?
Queste sono le stesse domande che di solito si fanno tra amici quando uno dice all’altro: “Sto leggendo questo libro”.
Difficilmente ci si eleva a livelli superiori di questo.  Perché è questo triplo interrogativo a determinare la fortuna del passaparola di un’opera . Il lettore ha bisogno di individuare e localizzare il taglio dell’autore, di cosa ha deciso di scrivere e chi è.
“Vorrei fare il postino” ha il merito di impedirci di rispondere a queste domande univocamente, e quindi universalmente. L’autore ha condiviso una visione della realtà che può essere sua come nostra, uno stile stupito che se da una parte può ricordarci eminenti padri letterari, dall’altra ci ricorda noi. E soprattutto sfuma il concetto di autobiografico.
Autobiografico è ciò che riguarda la propria vita. Esiste il tono autobiografico, lo spunto autobiografico , il respiro autobiografico, e qualsiasi sostantivo può essere abbracciato da “autobiografico”
Laurence Sterne diceva: “Scrivere, quando è fatto come si deve, (come potete star certi che ritengo di fare io) è solo un modo diverso di conversare: Come nessuno, che sappia il fatto suo, in buona compagnia, si azzarderebbe a dire tutto;—così nessun autore, che comprenda i giusti confini del decoro e della buona educazione, pretenderebbe di pensare tutto: Il rispetto più autentico che possiate dimostrare all’intelligenza del lettore, consiste nel fare amichevolmente a metà, e lasciargli qualcosa da immaginare, a sua volta, al pari di voi.”
Se il significato di autobiografico è letteralmente ciò che riguarda la propria vita, “Vorrei fare il postino” è l’autobiografia di ogni uomo o donna che ha attraversato la strada , che un giorno ha ordinato un’acqua tonica, che ha provato a capire l’altro, che ha sperato di farsi capire dall’altro, che ha amato, che non è stato amato, che ha avuto un gatto o una cane o che non ha mai avuto un gatto o un cane.
E’ oltre l’universale dell’esperienza personale, è fondante di ciascun percorso umano. Ed è di percorso che si tratta, visto che il protagonista cammina incrociando le vite degli altri trascinandosi dietro la sua e  il proprio stupore, passo dopo passo.
Narrato in prima persona, “Vorrei fare il postino” cammina senza sosta, anche quando il protagonista è sdraiato sul divano o seduto al banco di un comune per fare un concorso. La narrazione si arresta quando il lettore deve girare la pagina, e fino all’ultima è possibile vedere Carlo, il protagonista, incrociare i fatti della propria vita come se fosse lì per caso, come se la vita avesse scelto per lui e lui dovesse raccontarsela, la vita.
Un po’ come si racconta Eva, la prima donna, secondo  Mark Twain, che la fa esordire così: “ Ora ho un giorno di vita. Quasi un giorno intero. Sono arrivata ieri. Almeno così mi sembra. E credo sia così, perché se è esistito un giorno-prima-di-ieri, quando quel giorno c’era non c’ero io, altrimenti me ne ricorderei. Naturalmente è possibile che quel giorno ci sia stato e che io non me ne sia accorta. Benissimo; da ora in poi starò molto attenta e se mai ci saranno dei giorni-prima-di-ieri, ne prenderò nota. La cosa migliore sarà cominciare bene e fare in modo che le mie memorie non si presentino confuse, perché l’istinto mi dice che saranno proprio questi i particolari ai quali un giorno gli storici daranno peso.”
Memoria e stupore come chiave di accesso a un narrato riconoscibile e comprensibile, che il lettore più che leggerlo dovrebbe provare a ascoltarlo, accostando l’orecchio più che l’occhio.
Gianni Celati, autore molto caro a Federico Longo,  nel 1991 è arrivato a individuare 88 diverse interpretazioni del significato del racconto lungo (o romanzo breve…) di Herman Melville “Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street”. E ha recentemente dichiarato che da allora ne ha trovate ancora. E che probabilmente non smetterà mai di trovarne di nuove.
Perché la verità è che se l’uomo ha la tendenza a rileggere un libro che ha già letto, lo fa per ritrovarsi in nuovi angoli che non aveva colto, per dipanare nuove ombre o per perdercisi nelle ombre, perché è questo che capita con un buon libro, non ci si stanca mai di leggersi e ritrovarsi  nelle righe scritte da un altro, che non sa che esistiamo eppure racconta la nostra esistenza. E questo è un buon libro, quindi dopo averlo letto, rileggetelo.
Per le domande poi, c’è sempre tempo.

Federico Longo è nato nel 1978 a Noale (Ve). Nel 2011 ha pubblicato  la raccolta di racconti Verso Dove (Freaks Edizioni). Dal 2010 ha un blog : http://scritturesenza.blogspot.it/
“Vorrei fare il postino”
di Federico Longo
L’Erudita Editore
11,00 euro