l’incantevole  e  sconosciuto  arcipelago  delle  Bijagos

Testo di Anna Maria Arnesano e foto di Giulio Badini

Nel Golfo atlantico di Guinea, a sud del Senegal e entro un centinaio di chilometri dalle coste della Guinea Bissau, si distende lo sconosciuto arcipelago delle Bijagos, unico in tutta l’Africa, 88 isole e isolette piatte per una superficie totale di 2.624 kmq (undici volte l’Elba), ricoperte da un’intensa vegetazione tropicale ed equatoriale. Scoperte nel 1456 dal savonese Antonio da Noli e dal veneziano Alvise Cademosto, in perlustrazione per conto del re portoghese Enrico il Navigatore, sono sempre state evitate dalle navi per le frequenti secche, i fondali fangosi, le correnti infide e, soprattutto, le consistenti maree. I portoghesi, presenti in Guinea fin dal 1446, eressero la propria capitale sull’isola di Bolama, la più vicina alla terraferma, rimasta tale fino al 1941, ma poco si interessarono alle altre. L’incontaminato isolamento ne ha fatto un vero Eden naturale, con lunghe spiagge deserte, boschetti di palme, frutti tropicali, paludi di mangrovie e una fauna peculiare che annovera uccelli, vari tipi di tartarughe marine e gli unici esemplari al mondo di coccodrilli e di ippopotami di mare; si tratta di un’antica popolazione residua, risalente all’epoca in cui l’arcipelago si separò dal continente, che per poter sopravvivere si è dovuta adattare all’acqua salata.

 

Fa comunque una certa impressione vederli nuotare in mezzo ai delfini. Per la loro unicità l’Unesco ne ha fatto nel 1996 una riserva della biosfera per l’elevato livello di biodiversità, mentre due gruppi a est e a sud costituiscono parchi nazionali. Le poche migliaia di abitanti, concentrati in una ventina di isole, continua a vivere fuori dal tempo secondo modalità ataviche: le donne vestono ancora con  gonne di paglia, abitano in capanne di fango e frasche, sono animasti e le uniche autorità riconosciute sono il capo villaggio e lo stregone. Vige il matriarcato, con le donne che scelgono mariti e divorzi, e il culto degli antenati, i riti di iniziazione seguono un rigido codice che regola e scandisce tutte le fasi della vita, la superstizione regna sovrana, il rispetto per gli anziani assoluto. I giovani maschi vengono sottoposti a rigidi rituali di iniziazione, che prevedono tra l’altro di vivere isolati per sette anni, senza alcun contatto con donne. Quando segni palesi denotano in un villaggio la presenza di spiriti negativi, gli abitanti si allontanano abbandonando ogni cosa per non essere inseguiti verso altri lidi. I morti non vengono seppelliti nel villaggio o nelle vicinanze, ma portati in canoa e inumati in un’altra isola, affinché lo spirito non disturbi la comunità. 

 

Quando una giovane raggiunge la pubertà, i ragazzi del villaggio si fanno avanti offrendole ogni loro avere, nella speranza di acquistarne il favore. La ragazza ne sceglie uno ed inizia la convivenza, ma se entro un anno non rimane incinta o si stanca di lui, oppure se un altro pretendente le fa un’offerta migliore, lo può scacciare e cominciare un’altra relazione. Se la donna rimane incinta l’uomo resta con lei fino alla nascita del figlio, quindi ritorna dalla propria famiglia d’origine e può essere scelto per nuovi legami. I bambini prendono il nome della madre, non essendo agevole attribuirgli un’indiscussa paternità. Non praticano né l’agricoltura né l’allevamento, in quanto i pesci e i molluschi del mare da una parte, gli animali e la frutta della foresta dall’altra, risolvono egregiamente ogni loro problema alimentare. In compenso sono ottimi produttori di miele. Non conoscono la tessitura, e il danaro è comparso di recente, basandosi fino ad ora sul baratto. Gli unici segni tangibili della civiltà sono rappresentati da qualche recipiente di plastica, più versatili e longevi di quelli di terracotta da loro prodotti, e da sdrucite magliette arrivate chissà come. La maggior parte del tempo viene dedicata al riposo, ai riti magici, alla cura dei figli, alle relazioni sociali e al sesso, che costituisce il principale divertimento. Occorre davvero parecchia stupidità per definirli selvaggi.

 

La visita dell’affascinante arcipelago delle Bijagos, non facile da raggiungere, fa parte di un originale tour etnografico e naturalistico di 12 giorni proposto dall’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” (tel. 02 34 93 45 28, www.viaggilevi.com), specializzato in turismo di scoperta su mete insolite, preceduto dall’esplorazione di un tratto costiero della Guinea Bissau, anch’essa completamente ignorata dal turismo. Dalla capitale Bissau, città portuale dall’architettura portoghese famosa per il suo carnevale afro-europeo, si penetra nella foresta pluviale a mangrovie risalendo i maggiori fiumi tra uccelli (pellicani, aironi, garzette, cicogne e fenicotteri rosa) ed enormi piante di ceiba e baobab, per raggiungere le diverse popolazioni animiste dell’interno, come i Felupes e i Baiotes, ex tagliatori di teste e oggi coltivatori di riso in lagune salmastre dalle tipiche capanne d’argilla con veranda, fino ai Manjacos caratterizzati dalle loro cerimonie e danze sacre. Alle Bijagos verranno toccate le isole di Bolama, spettrale ex capitale della Guinea portoghese oggi invasa dalla vegetazione, Bubaque la maggiore e capoluogo con il suo museo etnografico, Soga per la colonia di fenicotteri rosa, Orango con gli ippopotami marinari, Cavalos abitata soltanto da uccelli e Poilao, uno dei principali siti di nidificazione delle tartarughe verdi marine, e poi Meio ideale per una nuotata e infine Canhabaque per visitare qualche villaggio.

 

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