Macro Testaccio, Piazza Orazio Giustiniani 4, padiglioni 9A e 9B.

(fino al 18 gennaio 2015)

Testo di Luisa Chiumenti

Giuliano Vangi, nato a Barberino di Mugello nel 1931, è tra gli scultori italiani più noti e apprezzati al mondo ed ha realizzato personali in Europa, in America e in Asia, vincendo innumerevoli premi prestigiosi, fra cui il Praemium Imperiale. Ha inoltre,  dal 2002 un museo interamente dedicato a Mishima ai piedi del monte Fuji in Giappone. A Roma tuttavia, dopo la grande esposizione del 1978 all’Istituto Italo Latino Americano, si era avuta solo una  piccola mostra nel ’99 a Palazzo Firenze. Ha rappresentato dunque un evento di notevole spessore culturale l’allestimento, dovuto all’architetto Mario Botta, della mostra “Vangi Opere 1994-2014a cura di Gabriele Simongini. Lo spazio del “MACRO Testaccio” , dedicato in genere ad esposizioni legate a ricerche sperimentali, ha subito una trasformazione assolutamente adeguata nel progetto di Mario Botta, amico dell’artista, che ha ideato un percorso non rettilineo, guidato dal colore e dai rimandi fra un’opera e l’altra. Promossa da Roma Capitale e organizzata dallo Studio Copernico di Milano, la mostra presenta 26 sculture, molte di grandi dimensioni, di cui 13 realizzate nel 2014 e alcune appositamente per il Macro. ospitata in un suggestivo spazio di archeologia industriale avvezzo all’avanguardia, alle performance e alle sperimentazioni immemori del passato. Sono i due padiglioni (della violenza e sopraffazione e della speranza), del Mattatoio di Testaccio, un complesso imponente rimasto a servizio della città dal 1890 al 1975.

Progettato da Gioacchino Ersoch, geniale architetto comunale cui si devono interventi fra l’altro al Pincio, al Verano e a l Teatro Argentina, vantava strutture in ferro e tecnologie d’avanguardia. In questi enormi e alti spazi che conservano ancora i ganci per appendere le carni, l’architetto Dal saggio in catalogo (Silvana Editoriale)  di Gabriele Simongini, curatore della mostra, possiamo cogliere molto bene il profondo valore etico, oltre che artistico, dell’opera di Vangi, che compie veramente “un viaggio nel cuore dell’uomo e nel destino della forma plastica”, ponendoci di fronte “a questioni  a cui gran parte dell’arte e della società del nostro tempo sembra completamente indifferente”. Giuliano Vangi, con la sua scultura, “lingua viva”, proclama la sua fede “in valori oggi desueti e negletti: la persistenza, la difficoltà, la pazienza, il mistero dell’uomo nel mondo”. La carriera di Vangi continua ad essere costellata di successi internazionali e da riconoscimenti per una scultura davvero “con la “S” maiuscola, capace di concretizzare un “presente antichissimo”. E così è molto stimolante riconoscere, come nota sempre il curatore, come ogni scultura di Vangi nasca “da una sfida a sempre nuove difficoltà tecniche e operative che spesso sono il principale argomento di conversazione dell’artista, peraltro parco di parole”. Un percorso “dal buio alla luce”: nel primo i colori bianco e nero e l’argento che fa da sfondo alla violenza della decapitazione, nel secondo che evoca i temi della vita, della speranza e del paesaggio, il bianco e il blu Klein e un fondale oro sul quale si staglia come una dea Ragazza con capelli biondi in legno di tiglio.

Al centro della sala, ecco uno di quegli “indignados” che in Spagna avevano dato l’avvio alle ampie  proteste che nel 2011 si erano sviluppate in tante capitali dell’occidente e in molte città asiatiche. “Duemilaundici”: ecco l’opera che, con le braccia aperte, esprime un richiamo allo “Zeus” di Capo Artemisio colto nel momento di lanciare un fulmine o un tridente. Nel pensiero di Vangi “il presente è pur sempre antichissimo”, in un rapporto reciproco ispirato all’armonia esistente tra le opere stesse e la natura.  Su questa scia ecco le tre opere in marmo bianco: ’14 Donna e mare, Donna sulla battigia e La grande onda. Sono state realizzate quest’anno anche “La bruma del mattino”, “L’uomo che corre” e “L’uomo”,  opera di un artista che non si stanca mai di percorrere strade inedite. Ed ecco il connubio fra scultura e pittura, ecco il colore: il sogno e  la sua trasformazione in realtà.

Per informazioni:

Studio Martinotti – Roma