LE SUE ANTICHE ORIGINI, LE CURIOSITÀ E LE PROPRIETÀ NUTRIZIONALI

 

 

 

Testo di Teresa Carrubba

Frutta, miele, neve del­l’Etna o del Terminil­lo: questi gli ingre­dienti del sorbetto consumato alle mense patrizie degli antichi romani. Una suggesti­va variante dello scherbeth, succo di frutta gelato, la cui ricetta fu diffusa in Sicilia dagli arabi. Pare infatti che vada all’Oriente il merito di aver inventato l’algido ali­mento. In particolare a un discepolo di Maometto che, con un acconcio stru­mento, rudimentale antesignano del­le moderne gelatiere, refrigerava spremute di frutta in un recipiente circondato da neve ghiacciata. La divulgazione in Europa di que­sto rinfrescante dessert passò attra­verso la dominazione mora in Sicilia. Ed è lì che il prodotto mediterraneo manterrà la sua terra di elezione e un punto di riferimento consolidato nei secoli.

Di certo, comunque, l’immagine del sorbetto, associata a quella di una coppa ricolma di neve dal lieve profumo di frutta, attrae e stimola la fantasia. E qualche effetto edonistico deve averlo avuto pure su Nerone se, con profondo cinismo, di fronte allo spet­tacolo di Roma in fiamme, sembrava gustarsi un enorme calice di neve del Terminillo condita con miele e succo di frutta varia. Nonostante la sua natura effimera, il sorbetto ha dimostrato una notevo­le solidità arrivando, riveduto e cor­retto, fino ai nostri giorni. Della sua evoluzione nel passaggio dei secoli si sa ben poco. Salvo qualche accenno nell’arte ga­stronomica medievale che lo conside­rava un raffinato intermezzo durante i lunghi e sontuosi banchetti. Usanza di cui oggi viviamo un revival nei menu di rinomati ristoranti.

Qualche notizia in più certamente l’ebbe il fiorentino messer Bernardo Buontalenti, artista della seconda metà del Cinquecento, notoriamente una buona forchetta e curioso della cucina antica. Si dilettava a rielaborare ricette dei secoli passati e a inventarne di nuove. Sta di fatto che il Buontalenti ebbe un enorme successo quando al­la Corte dei Medici fu portato a ta­vola un dessert inedito su sua ricetta: era nato il gelato. Il manicaretto, gustoso e gradevo­le, fu ben presto apprezzato presso tutta la nobiltà fiorentina.

 

La qualità degli elementi e l’elabo­rata preparazione ne fecero però un prodotto pregiato, non alla portata di tutti. Il gelato, infatti, nato come ali­mento aristocratico, rimase tale per vari decenni, tanto che la sua succes­siva diffusione fu considerata una ve­ra e propria conquista democratica. Considerato quindi un piacere ri­servato alle tavole nobiliari, la sua fama si propagò, almeno all’inizio, solo tra le corti d’Europa. Fu Caterina de’ Medici, sposa di Enrico Il re di Francia, a portarne notizia alla Corte d’Oltralpe. Per averlo assaporato nella natìa Firenze, descriveva personalmente le qualità del gelato ai sovrani degli altri stati, durante i ricevimenti. Caterina non si limitò a esportarne la golosità: volle condurre con sé, a Parigi, un pasticciere perché potesse riproporre, in qualsiasi momento, il miracolo di quella cremosa invenzione.

Sempre a Parigi, un siciliano, Procopio Coltelli, apre nel 1660 il Café Procope, dove si servono esclusivamente gelati su ricetta italiana. Allora regnava felicemente Luigi XIV, il Re Sole, alla cui Corte, con­siderata un vero modello per l’Europa, si consumavano sorbetti e gelati sia di derivazione medicea sia provenienti dalla scuola del Café Procope.

Senza nulla togliere all’arte gelatiera fiorentina, va detto che la diffusione della fredda ghiottoneria ebbe notevole impulso anche dalla Sicilia. Forse per la neve dell’Etna, che rievoca tradizioni ancestrali, o per le profonde tracce lasciate dagli arabi, il fatto è che per la Sicilia, fabbricare gelati è sempre stata una vocazione. Lo testimoniano illustri estimatori della raffinata golosità. In una delle più vecchie e famose gelaterie di Palermo, “Mazzara”, una targa di ottone ricorda le frequentazioni di Tomasi di Lampedusa. Sul tavolino un mantecato o una granita, e intanto scriveva “Il Gattopardo”.

È indubbio che le massicce emigrazioni dei siciliani siano state il più valido veicolo per la diffusione del nostro prodotto. Gli americani hanno assaporato il gelato per la prima volta nella seconda metà del Settecento grazie proprio a un italiano, Filippo Lenzi. E dal diciannovesimo secolo la vera storia del gelato in America coincide con l’evoluzione tecnologica, piuttosto che con quella del gusto. Pietra miliare, la gelatiera a manovella, inventata da Nancy Johnson nel 1864. Il segreto di questa prima sorbettiera meccanica era la possibilità di girare il composto in modo costante, favorendo un raffreddamento uniforme, senza formazione di cristalli ghiaccio. È di Jacob Fussel di Baltimora, invece, il merito di aver ideato l’ice-cream, inteso come mantecato a base di latte, assurto poi ad alimento nazionale. Questa delizia per il palato si deve al caso e a una grossa partita di latte in eccedenza, visto che Fussel, per non farlo deperire, ne fece una crema e la raffreddò. Ancora gli Stati Uniti, e ancora il caso, segnano l’inizio del gelato da passeggio, nel 1892, quando a un ge­lataio cadde un bastoncino di legno nell’impasto cremoso.

Nel tirarlo su, nacque l’idea. Poi è la volta del cono, nel 1904, e del ghiacciolo, vent’anni dopo.

 

NON SOLO GUSTO MA ENERGIA

Il significato alimentare del gelato passa anche attraverso le reazioni psicosensoriali che suscitano i gusti delicati, i colori variegati, le forme, l’effimera evanescenza, il prolungato refrigerio. Ma resta pur sempre un alimento e il suo consumo deve rientrare nei limiti dell’educazione nutrizionale dell’individuo, valutandone razionalmente l’apporto in calorie e in nu­trienti essenziali. Non solo, quindi, un prodotto  voluttuario e dissetante da assumersi per contrastare l’afa estiva o come gratifica psicologica, ma anche un piacevole complemento alla dieta di tutte le stagioni. Per le sue proteine nobili e per i suoi ingredienti semplici, il gelato è adattissimo per l’età della crescita.

Non dobbiamo trascurare il fatto, che il gelato è un piccolo mondo di apporti multipli sicché non solo è benefico sotto il profilo fisico, ma tiene conto dell’accettazione dell’alimento da parte del bambino, cioè della sua palatabilità. Per gli stessi motivi e per altri ancora, questo dessert entra sempre più anche nella dieta degli an­ziani. Non richiede masticazio­ne, è energetico e contiene zuccheri, che sono particolarmente importanti per l’alimentazione della terza età. Il gelato è spesso suggerito anche al malato. Nelle forme di faringite e di tonsil­lite, per esempio. È uno dei pochi alimenti permessi dopo una tonsillectomia. «Fatti ope­rare, vedrai quanti gelati ti daran­no!»: tipica frase per esorcizzare la paura. La verità è che per la sua bassa temperatura, il gelato agisce come anestetico e antiemorragico e, per la sua morbida consistenza, non com­porta sforzi nella deglutizione.

Anco­ra, si rivela utile negli stati febbrili, sostituendo (in modo certamente più piacevole) la borsa del ghiaccio. E per gli sportivi, che hanno biso­gno di cibi ipocalorici ma nutrienti, niente di meglio che una coppa di ghiotto gelato. Son finiti i tempi in cui l’atleta si nutriva di bistecche al sangue e insa­lata scondita! Ali­menti completi come il latte hanno una precisa collocazione nella dieta dello sportivo, insieme alle uova e alla frutta. Un posto di rilievo merita dunque il gelato, preziosa miscela di questi ingredienti. Dai risultati di un’indagine effet­tuata su 520 atleti olimpionici si rile­va che il 60 per cento mangia gelati da due volte la settimana a tutti i giorni. E’ curioso: i maggiori consumatori dell’alimento sono gli sportivi che praticano lo sci di fondo invernale, seguiti da quelli dello sei alpino.