Testo di Teresa Carrubba

Una scelta un po’ igienica, un po’ morale, un po’ filosofica, ma non necessariamente spartana, il vegetarianismo può nascere infatti da diverse visioni della vita.

 

Il primo a sostenere che mangiar verde è bene sembra essere stato addirittura Pitagora, matematico e filosofo greco del VI secolo a.C. Da
allora, tutta una genìa di pensatori, artisti e personaggi storici (Platone e
Tiziano, Voltaire e G. B. Shaw, Leonardo da Vinci e Tolstoj) hanno sostenuto in modi e termini diversi la causa vege­tariana. Eppure ancora oggi intorno a tale pratica alimentare è sospeso un alone di mistero e di diffidenza. C’è chi considera i vegetariani degli asceti i quali “spilluzzicano” insipide verdure, anziché godere delle numerose gioie della tavola. La realtà è che il vegeta­rianismo è un mondo complesso in cui convivono atteggiamenti diversi, spesso frutto di profonde meditazioni. Una scelta un po’ igienica, un po’ morale,
un po’ filosofica, ma non necessariamente spartana, il vegetarianismo può nascere infatti da diverse visioni della vita. Da un punto di vista strettamente sa­lutistico, i vegetariani sostengono non solo che l’organismo umano è più affine a un erbivoro che a un carnivoro(a partire dalla dentatura), ma soprattutto che il nutrirsi di verdure previene le cosiddette malattie del progresso.


 

Sembra infatti che indagini effettuate su gruppi vegetariani, come i monaci buddisti, abbiano rilevato un bassissimo livello di colesterolo, causa prima di arteriosclerosi e infarto. I motivi morali e religiosi, che spesso si identificano con quelli ecologici, nascono invece dal rifiuto di uccidere esseri viventi. C’è anche chi si spinge più in là, attribuendo al vegetarianismo il potere di influire sul carattere dell’uomo. Lo stesso Einstein sostiene: “Un sistema di vita vegetariana, con i suoi benefici effetti sull’uomo, potrebbe migliorare la sorte dell’umanità”. Certamente, l’illustre scienziato intendeva riferirsi a una dieta vegetariana ben condotta ed equilibrata, accompagnata da abitudini di vita igieniche, sia fisiche che mentali. Al di là delle argomentazioni, cambia anche il modo di condurre la dieta vegetariana. Accanto ai vegetariani più moderati, che si limitano a rifiutare la carne e il pesce, convivono gli integralisti, cioè i vegetaliani o vegan,  i quali aborriscono non solo carne e pesce, ma anche i prodotti degli animali come latte, uova e persino il miele. Si va anche oltre. Il fanatico del “verde” può addirittura farsi fruttariano o crudista. Cioè mangiatore di sola frutta (spesso con esclusione dei semi per non nuocere al ciclo vitale della pianta), o di soli cibi crudi, il che elimina dal menu anche molti legumi e cereali che necessitano per forza di cottura.

 

Ma, lasciando le soluzioni estreme a chi vede nel vegetarianismo una sorta di espiazione, c’è da sfatare un luogo comune: la cucina vegetariana non è affatto una breve lista di squallide zuppe insapori o di verdurine bollite. Al contrario, può essere un trionfo di fantasie e sapori. Gustosi piatti presi in prestito alla cucina mediterranea, come la pasta con ragù di verdure, ortaggi ripieni e gratinati, strudel, sformati e soufflé vegetali, vel­lutate di legumi, torte di cereali. Vitamine e fibre sembrano assicurate, e anche le proteine, specie se conside­riamo i legumi e un ingrediente molto consumato dai ve­getariani: la soia, sorta di legume -trasformista che, pur di somigliare all’ “il­lecita” carne, si fa bistecca, spezzatino e persino wurstel. Il tutto, vegan per­mettendo, viene “le­gato” con latte, (for­maggi e uova), che, oltre a consentire la preparazione di piatti sufficientemente elaborati, com­pletano l’apporto nutrizionale della pietanza.Visto l’interesse crescente per la cucina verde, vuoi per la spinta della moderna educazione alimentare, vuoi per una convinzione filosofica, le associazioni dei ristoranti stanno vagliando la proposta di introdurre di routine un menu vege­tariano alternativo.