TERESA CARRUBBA



Dalle più antiche di matrice bizantina, intrise di ieratica sacralità, a quelle più tarde, scintillanti d?argento, smalti e pietre dure, le icone  emanano ancora un sentore di misticismo dall?alto delle nostre pareti occidentali, al di là del “dissacrante” business da investimento. Negli ultimi anni l?interesse per le icone ha subìto un vivace incremento tra i collezionisti che vedono in esse non più l?espressione di una comune eredità di fede, ma il loro valore artistico e di antichità. Le più ambite, e naturalmente le più rare sul mercato antiquario, sono quelle russe, del XVII e XVIII secolo, i cui prezzi lievitano seguendo il trend positivo dell?attenzione amatoriale. Tuttavia, le prime icone hanno origini ben più remote. Nascono tra il IV e il V secolo d.C. a Bisanzio e da lì si diffondono in quasi tutte le regioni orientali del Cristianesimo fino all?iconoclastia (sec.VIII-IX) che distrusse quasi tutta la produzione d?arte sacra. Scampate allo scempio, pochissime icone di quel periodo sono oggi custodite da musei o da qualche fortunato privato. L?attenzione del collezionista è dunque giocoforza indirizzata verso icone di epoca tarda, soprattutto russe, di Kiev o di Mosca. “A Novgorod si affermò uno stile originale detto -del contorno-, con figure delineate per la prima volta non in nero ma con il colore, in genere acceso e brillante “spiega Luciana Manasse antiquaria di Roma, esperta in arte russa “Le icone provenienti da Pakov, sono pervase da un forte misticismo espresso da linee spezzate e decise, con vesti sottolineate da perle dipinte e filettature dorate. Tuttavia, una svolta coraggiosa allo stile pittorico delle icone viene impresso nel  sec.XV da Andrei Rublev, considerato il più grande pittore russo di tutti i tempi. Rublev rompe la tradizionale staticità delle figure smorzando la solenne austerità dello stile bizantineggiante”. Fu Pietro il Grande che, alla fine del Seicento occidentalizzò lo stile delle icone(stile-franco-), chiamando pittori francesi, italiani e tedeschi.


Nell?Ottocento, poi, la produzione ufficiale (meno ambita dai collezionisti, ma più accessibile), osservò lo stile -accademico- o -romantico- che prevedeva l?uso dei colori a olio al posto della tradizionale e più pregiata tempera all?uovo, e l?applicazione di lastre metalliche decorative che lasciavano scoperta solo parte del dipinto.Tale copertura,detta -riza- in realtà era già in uso nel  sec.X, ma con una funzione dapprima protettiva dai ceri accesi che si ponevano davanti all?icona e poi di ex voto. Di solito in argento, con figure o motivi decorativi (a sbalzo, cesello, incisione, niello,filigrana) e con smalti e pietre dure, la riza lascia scoperti solo il viso, le mani e i piedi delle  figure. Al contrario, la -oklad-, di uguale fattura, copre solo una piccola parte del dipinto, e meno ancora la -bazma-costituita da quattro strisce di metallo che incorniciano la tavola. Molte di queste rize preziose portano la firma di orafi famosi che lavoravano per gli zar e per l?aristocrazia russa: Sazikov, Klebnikov, Oveinnikov e, ovviamente, il mitico Fabergé. Tuttavia, la bellezza e il pregio della riza non deve trarre in inganno nella scelta di un?icona da collezione. “Di fronte a un?icona completa, la prima impressione è ovviamente determinata dalla riza” ci conferma Luciana Manasse  “ma l?intenditore sa che il valore primario va ricercato nel dipinto. Persino una riza di Fabergé perderebbe valore se applicata a un dipinto di modesto livello antiquario. L?accostamento più prezioso è quello di una riza d?autore con una tavola russa del Seicento o del Settecento, combinazione difficilmente reperibile, oggi,  sul mercato antiquario. Pezzi da collezione importante. Chi ha il privilegio di possedere simili capolavori , non disdegna la possibilità di mettere in mostra separatamente le due opere d?arte: da una parte la tavola e dall?altra la riza, magari appoggiata su una copia o una fotografia dell?icona. E? raro, comunque, che i due elementi siano coevi. Più frequentemente la riza copre tavole ben più antiche”.


Dal 1700 le rize,su disposizione di Pietro il Grande, devono presentare un bollo che indichi il nome dell?orafo e l?anno di fabbricazione.  L?icona, nata come oggetto sacro, non era considerata per il suo valore artistico ed era spesso dipinta dai monaci. E? per questo che spesso è anonima. “Nel mercato antiquario” conclude infatti la Manasse ” a meno che non si tratti di capolavori come quelli di Rublev o Dionisij, il valore di un?icona è dato soprattutto dalla datazione. Le più pregiate sono quelle russe dei secc. XVII e XVIII, superate solo dai rarissimi esemplari cretesi del Quattrocento. Più abbordabili,le icone di fine Ottocento-primi del Novecento, tra cui le più ambite sono quelle di Kiev e di Mosca. Gli esemplari provenienti dal Nord della Russia presentano uno stile che oggi si direbbe di gusto naif o comunque popolare.




 

 

 

Quanto incida il valore collezionistico o venale sul misticismo, non ci è dato sapere. Fatto sta che sempre più spesso le icone, da quelle bizantine, essenziali e austere, a quelle di epoca più tarda, illuminate da preziose lastre d?argento, ispirano una sorta di timore reverenziale dall?alto delle nostre pareti. Anche se non con lo stesso spirito di un tempo in Russia dove nelle case, dalle più agiate alle più umili, si allestiva una parete “rossa” (in russo è sinonimo di “bella”) proprio di fronte alla porta d?ingresso, ricca di icone a cui il visitatore doveva rendere omaggio prima che all?ospite. Da qualche decennio l?interesse per le icone ha coinvolto sensibilmente collezionisti e amatori che vedono in esse non più l?espressione artistica di una Chiesa che ha preso le distanze da quella di Roma, ma l?elemento rivelatore di una comune eredità di fede, e con esso il loro valore intrinseco. Le più ricercate, e quindi le più rare sul mercato antiquario, sono proprio quelle russe,del Seicento e del Settecento, le cui valutazioni aumentano in maniera esponenziale rispetto all?attenzione del collezionismo. Ma le prime icone,ormai quasi introvabili, nascono nel periodo proto-cristiano, a Bisanzio, tra il IV e il V secolo d.C., come sviluppo del tipo di raffigurazioni con immagini di defunti, dipinte sui sarcofagi di Età ellenistica. E da Bisanzio, vera e propria fucina d?arte in cui i canoni orientali e occidentali si fondono in un prezioso amalgama, la tendenza a dipingere immagini sacre su tavola si diffonde in quasi tutte le regioni orientali del Cristianesimo, tra il V e il VII secolo, tanto da provocare la reazione iconoclasta. L?iconoclastia (sec.VIII-IX), violento movimento di condanna del culto delle sacre immagini sostenuto da convincimenti teologici influenzati dal monoteismo islamico e da suggestioni neoplatoniche, era una reazione al fanatismo con cui il popolo adorava le effigi non come semplici raffigurazioni visive, ma come simulacri dal potere miracoloso. Fu distrutta quasi tutta la produzione d?arte sacra. Le pochissime icone salvate ,di valore ovviamente inestimabile, sono in gran parte custodite in musei, come quelli del Cairo e di Kiev o in monasteri come quello di S.Caterina sul Monte Sinai.Superata la crisi, la pittura sacra su tavola riprende vigore a Bisanzio e nel corso del IX e X secolo si espande in Egitto, Siria, Palestina, Grecia (Cipro e Creta), Italia (Sicilia e Venezia), Penisola Balcanica e Russia.

 

L?attenzione del collezionista è orientata verso icone di epoca tarda, provenienti dalla Penisola Balcanica, dove fiorì una scuola molto attiva nel XVI e XVII secolo, ma soprattutto dalla Russia. Il più antico centro russo nel quale si affermò la pittura delle icone fu Kiev, dopo che con Vladimiro il Grande, nell?anno 988, divenne città cristiana abbracciando la fede della Chiesa di Bisanzio. E da Bisanzio, insieme alla fede,arrivò la raffinatezza della cultura, la sensibilità artistica e la pratica devozionale legata alle icone.



L?ICONA COME UNA PREGHIERA


 

L?importanza delle icone nelle regioni orientali è perpetuata dall?esistenza ancora oggi,nelle chiese,dell? iconostasi.Si tratta di una parete divisoria tra la navata e il presbiterio formata da una serie di colonnine sormontate da un architrave su cui venivano appese le icone in cinque file orizzontali, a tema, sistemate in ordine gerarchico, dall?alto verso il basso. Le tavole raccontavano al popolo i fatti soprannaturali e i fedeli le “leggevano “come fosse un libro sacro. Non per nulla i monaci dediti all?arte delle icone dicevano “scrivo” e non “dipingo” un?icona. In una sorta di raccoglimento ascetico il monaco doveva osservare un periodo di digiuno e preghiera e ricevere la benedizione del vescovo prima di accingersi all?opera.Solo allora peteva “scrivere” l?icona, in ginocchio, immerso nel suo silenzio interiore e purificando le mani con frequenti abluzioni. Altra imposizione era il tema.


Il Cristo Pantocratore (benedicente),la Vergine,i profeti delle sacre Scritture e le feste della liturgia ortodossa.Quanto alla Vergine,si doveva rispettare l?espressione del dipinto “dal vero” che la tradizione attribuisce a San Luca.Un simile rigore nell?esecuzione di queste immagini sacre non poteva che garantire una forte protezione spirituale.Quando nasceva un bambino,veniva commissionata un?icona di lunghezza pari alla sua statura e raffigurante il santo del quale il neonato portava il nome; i ragazzi che partivano soldati erano benedetti dai genitori con le icone dei santi guerrieri come Giorgio il Vittorioso e Demetrio di Tessalonica. Pietro il Grande esigeva che i suoi eserciti in battaglia fossero protetti dall?icona di S Michele Arcangelo.Una fede incondizionata sul potere delle icone, tale da sentire il bisogno di portarsele dietro.E? il caso delle icone da viaggio,piccole e chiudibili,di metallo, prodotte fin dal XV secolo.Ancora più comode le icone da collo,appese a una catena,in metallo spesso decorato con smalti policromi.Una vera chicca per i collezionisti!