Testo e Foto di Pamela McCourt Francescone

Era una mattinata grigia ed afosa e il tempo non invogliava a scendere sulla graziosa spiaggia di Si Ho Playa. Poi qualcuno suggerì di raggiungere la vicina città di Champoton e, dopo mezz?ora ci trovammo davanti all?albergo, in attesa del  pullman di linea che collega la capitale statale Campeche, con questa piccola cittadina di pescatori.  La baia di Champoton viene chiamata ?la baia dello scontro brutto? per quel giorno di marzo del 1517 quando lo spagnolo Francisco Hernandez de Cordoba e le sue truppe furono costrette da un violento temporale a cercare riparo nella baia dove vennero attaccati dall?esercito di Moch Cuoch, il leader maya, che inflisse loro una sonora sconfitta.

 

Durante tutto il tragitto verso Champoton dovemmo viaggiare in piedi perchè il pullman era già pieno. Molti dei passeggeri dormivano, approfittando delle comode poltrone e dall?aria condizionata, in verità quasi insopportabile, sopratutto per chi, come noi, viaggiava in piedi sotto i flussi di aria gelida che ci arrivavano sulla testa.


Scendemmo al capolinea di fronte alla famosa baia e accanto al mercato cittadino con le sue bancarelle  stracolme di frutta e verdura,  alimentari, scarpe e abbigliamento.  La cordialità dei campechiani è cosa nota, al punto che per definire una persona gentile, viene usato l?aggettivo ?campechiano?. 


E le donne dietro le bancarelle ci accolsero con grande allegria, invitandoci a comprare i coloratissimi frutti locali.  Difficile per alcuni resistere alla tentazione di portare via succosi manghi, piccoli ma saporitissimi lime e peperoncini seccati, rossi, gialli e pure neri, e di tutte le forme e misure, mentre in un angolo due signore preparavano frittelle che uscivano fumanti da grandi padelle ripiene di olio bollente.


C?è chi cercava un paio di sandali infradito,  e fu felice di trovare un paio della misura giusta, e dello stesso colore del vestito, su una bancarella ben fornita.  Uscendo dal mercato ci imbattemmo in un venditore ambulante con, appoggiati sul marciapiede, un assortimento di amache dai colori vivacissimi.


E poi ancora una sosta per contrattare il prezzo, e visto che pochi riuscirono a resistere all?idea di potersi dondolare dentro un?allegra amaca messicana una volta tornati a casa, il venditore chiuse la propria giornata avendo fatto con noi italiani affari d?oro.


Su un piccolo camioncino, parcheggiato accanto all?arcata rosso del municipio che sorge sulla piazza principaledi Champoton, un ragazzo vendeva ananas. Ce n?erano migliaia stipati dentro l?abitacolo. 


Poco lontano seduti sulle scale di un negozio quattro ragazzini giocavano a  carte. Tre di loro sembravano contente di farsi fotografare, mentre la più timida si nascondeva il viso dietro le carte.


Lasciando la piazza alle spalle ci dirigemmo lungo una via laterale verso quello che ci avevano detto era la chiesa principale di Champoton. Girando un angolo ci trovammo davanti ad una scena tanto divertente quanto mai inaspettata. Fuori una farmacia un grosso pupazzo vestito da medico saltellava allegramente, eseguendo passi di danza  maldestri e buffi mentre tre passanti, tra i quali un signore anziano  e scalzo,  ballava con lui. 


L?anziano  si muoveva con  quei movimenti e ritmi  innati e di grande eleganza, tipici di molti popoli di sangue latino-americano. Sopra la porta della farmacia una scritta diceva ?lo stesso ma meno caro? e l?exploit pubblicitario del pupazzo-medico ha sortito l?effetto perché alcuni dei nostri, tentati dai prezzi bassi, hanno fatto scorte ingenti di vitamine e prodotti integratori. 
 


In fondo alla strada, un uomo si stagliava, controluce, sopra una lunga scala appoggiato ad un palo della luce.  Dentro il groviglio di cavi telefonici sembrava un ragno dentro una strana ragnatela.  L?assistente, che controllava lo schermo di un televisore posto su un camioncino ai piedi della scala diceva ?Bueno???bueno? ogni qualvolta che sullo schermo appariva  qualche linea che ovviamente segnalava che l?uomo ragno aveva trovato il filo giusto. 


Finalmente la chiesa. Non quella in stile Rococo-coloniale che ci saremmo aspettati, ma rigorosa e in pietra grigia con il campanile posto in cima. Fuori la porta un prete ed un chierichetto aspettavano in piedi. Il prete, con sguardo severo, vide avvicinare il nostro gruppo di inconfondibili turisti, con le nostre macchine fotografiche,  buste di plastica e amache.  Poi qualcuno chiese ad una signora anziana perché il prete sostava sulla porta.  ?Sta per arrivare la sposa?, ci rispose.  La nostra reazione a questa notizia ruppe il ghiaccio e tutte le formalità tra noi e il prete.


Dopo qualche minuto è arrivata la sposa, insieme alla sua damigella, tre o quattro parenti e un giovane, sudato e dall?aria nervosa, con una cravatta in mano.  Lei era molto graziosa, e la damigella con il suo vestitino bianco e azzurro sembrava una bambola. Trovare ad aspettarla non solo il prete ma un?allegra banda di turisti, sembrava non procurargli il minimo disagio.  Anzi, si divertiva a farsi fotografare. 

 

Quando il piccolo corteo nuziale si rese conto che eravamo italiani venimmo coperti di grandi sorrisi e pure  il prete,  saputo che alcuni di noi erano Romani annuì nuovamente e aggiunse sorridendo, ?si???la ciudad del Papa?.


Mentre la sposa si accingeva a entrare in chiesa il futuro sposo, con un?aria  che si faceva via via sempre più tesa, cercava disperatamente di annodare la propria cravatta con le mani tremolanti per l?emozione; e più ci provava, più la cravatta gli scappava dalle mani.  I ragazzi del nostro gruppo non si sono fatti pregare. Uno di loro prese la cravatta, annodandola  con perfetta maestria, per poi allargarla ed infilarla sulla testa del prossimo sposo.  Che, sollevato, si asciugò il volto madido di sudore mentre la sua sposa avanzava lungo la navata centrale dietro il prete ed il chierichetto.


Il tempo, prima di tornare al capolinea,  per fare una breve passeggiata lungo la baia dove uno del gruppo tentò  di far spiccare il volo, con una fionda appena comprata al mercato, alle migliaia di cormorani appollaiati sulle mangrovie.  Ma gli uccelli, forse anche per il grande caldo, mantennero impassibili le loro postazioni all?ombra delle fronde, per nulla intimorite da qualche piccolo sassolino.  Ed è stata la fine di una mattinata che ci ha fatto, per qualche ora, entrare nella realtà del Messico più genuino, fatto di situazioni divertenti,  di momenti inusuali ma sopratutto di  persone allegre,  sorridenti e  accoglienti.  Campechiani, appunto.