GIUSEPPE GARBARINO



Pietro Tacca, Donatello, Giambologna, Tino di Camaino, Tiepolo, Pollaiolo e Guercino, sono solo alcuni dei roboanti nomi che sono raccolti in questo straordinario museo di Firenze che dopo dieci anni riapre le porte al pubblico fiorentino accorso numeroso ed incuriosito di rivedere quanto raccolto amorevolmente nell?800 da Stefano Bardini, un antiquario spesso definito come un avvoltoio nel commercio delle antichità, ma che al tempo stesso ha saputo lasciare alla sua città una raccolta unica.

Stefano Bardini  è stato uno dei grandi personaggi di Firenze, la sua raccolta antiquaria è stata lasciata alla città con lo slancio di chi ama la propria terra, ma come spesso accade a Firenze ci si dimentica dell persone, tanto che in passato per rimuovere completamente l?immagine dello straordinario donatore il museo venne chiamato ?Museo Civico?. Quando Bardini morì nel  1922 lasciando allo stato le sue collezioni, qualcuno pensò a dedicare un busto al Bardini, marmo da mettere in qualche angolo della città, ma mai è stato fatto.


Fiorentini, strana gente.  Prendono, usano, riciclano e rivendono cambiando il nome a cui sono legate. E? una paura secolare che forse è iniziata prima di Dante, il ?ghibellin fuggiasco?, che altri non era che un guelfo meno arrogante e integralista. Dante lasciò Firenze e chi si è visto si è visto, non ci è tornato nemmeno da morto, nonostante i piagnistei tardivi della città.

Altro caso recente è quello della Fallaci, grande figlia del popolo fiorentino, grande giornalista, grande e basta!

Ma torniamo al museo in via dei Renai ed entriamo per coprire cosa è stato fatto in dieci anni di lavori. La prima cosa che dovremmo notare è il colore delle pareti, ma lo sguardo corre sui marmi e le terrecotte di inimmaginabile bellezza. Già le pareti, perché il Bardini, attento oltre che a fare soldi vendendo antichità era anche un ottimo scenografo, ne è un esempio la Torre del Gallo, dove aveva allestito l?esposizione delle opere in vendita o dell?altro palazzo cittadino che con il suo giardino si arrampica sulla collina fino alle mura medioevali. Tutti luoghi studiati per stupire gli ospiti, i ricchi stranieri che godevano del panorama di Firenze e compravano al prezzo deciso dal Bardini.


Non divaghiamo e torniamo al museo, altrimenti ci perderemmo nei vicoli della Firenze che non esiste più alla ricerca di fantasmi che ancora oggi vagano senza riposo tra pizzerie, negozi di scarpe e venditori di deprecabili souvenir.

Le pareti hanno ritrovato il colore originale voluto appunto da Stefano Bardini, quel blu che fa risaltare i marmi e le altre opere qui raccolte.  Insieme agli oltre 2000 pezzi si troverà presto anche  la ?Madonna della Mela?, opera di Donatello ma ora all?Impruneta per una mostra sui 700 anni del cotto.

Qui è inoltre conservato il ?porcellino?, come viene chiamato con simpatia il cinghiale realizzato da Pietro Tacca e la cui copia di trova alla Loggia del Mercato Nuovo accanto al Palagio di parte Guelfa.


Importantissima l?opera del Giambologna chiamata il ?Portabandiera? e per questo forse sono stati chiamati i Bandierari degli Uffizi ad inaugurare con la loro sfilata ed esibizioni il museo.

Un?altra raccolta è ospitata nel museo, le 6449 lastre fotografiche che riassumono l?attività antiquaria del Bardini, ovvero la schedatura degli oggetti venduti e quindi persi dalla città. Stefano Bardini aveva infatti organizzato la sua attività sul recupero di fregi, tabernacoli, colonne e statue che provenivano dall?antico centro storico di Firenze che venne distrutto per  fare posto ai palazzoni stile Giuseppe Poggi.

Si racconta che dava una moneta d?argento a tutti coloro che gli portavano un pezzo di marmo  o di pietra lavorato e la coda era lunga ?