Al Teatro Argentina di Roma parla la modernità di Goldoni

Dal 20 marzo al 3 aprile 2012

Testo di Elena Mandolini

Una diatriba fra suocera e nuora. I nuovi ricchi. Con un testo risalente al 1750, viene da chiedersi se Goldoni non aveva di certo immaginato che la sua opera sarebbe stata appieno diritto un’opera moderna. Facente parte della riforma goldoniana, La famiglia dell’antiquario si incastra alla perfezione in quella che è la rappresentazione della decadenza della nobiltà e il consolidamento della borghesia, quale nuovo potere. La storia è delle più semplici, e per questo delle più facilmente adattabili. Doralice, facente parte di una ricca famiglia borghese, è andata in sposa al contino Giacinto, figlio dei conti Anselmo e Isabella Terrazzani, per salvarli dal disastro economico; così facendo Doralice assume un titolo nobiliare, portando alla famiglia dell’amato sposo una ricca dote, sperperata da Anselmo in chincaglierie che lui considera per stoltezza delle rarissime antichità. Questo l’antefatto, raccontato dai personaggi stessi nei primi minuti dello spettacolo. La storia vera e propria, si dipana con la diatriba fra Isabella e Doralice, in lotta per diventare unica padrona di casa; lite che prende piede grazie a Colombina, prima cameriera della contessa, e i due servitori-corteggiatori il Cavaliere e il Dottore che altro contribuivano a metter zizzania. Fra battibecchi e dispute femminili, si giunge, dopo circa due ore di spettacolo, alla giusta conclusione dettata da Pantalone, saggio padre di Doralice, il quale diventa direttore della casa e caccia sia Colombina (col consenso delle stesse donne) sia i due consiglieri. La storia principale è alternata da quella del Conte Anselmo, che viene puntualmente raggirato dal servitore Brighella, in combutta col compare Arlecchino, dando dita a divertenti siparietti comici. Pure qui, sarà Pantalone a scoprire gli inganni e a fare da giudice, facendo licenziare Brighella e dando una lezione di vita ad Arlecchino.

Già direttore della Biennale nel 1995, il regista Lluis Pasqual è riuscito a portare la sua opera dall’odierno direttore Maurizio Scaparro, nell’edizione attuale. Un atto unico di poco più di due ore in atto unico, suddiviso da siparietti, in cui il grande pannello centrale della scenografia gira consentendo agli attori stessi di fare il cambio di scena, spostando gli elementi scenici, accompagnati da una psichedelica luce blu e musica di sottofondo.

Il testo originale è stato poco modificato; secondo stessa ammissione dell’attore Eros Pagni, solo il finale è stato toccato, donandone un maggiore senso di compiutezza e risoluzione finale, che non era presente nell’opera goldoniana, in cui Pantalone, assumerà la direzione economica della casa. Il succitato regista ben si muove in un testo poco sfruttato a teatro, ma che riesce a rendere piacevole e dargli comunque un’originale impronta personale. Una scenografia semplice, costituita da un fondale dipinto con alte colonne per dar maggiore idea di spazio, ed entrate dalle quinte o dalle porticine ricavate dal grande pannello principale, scorrevole. Pochi elementi scenici , quali un tavolo e diverse sedie consentono agli attori amplia libertà di movimento. L’originalità risiede in questo; ad ogni cambio di scena, tutti gli attori cambiano abito, avvicinandosi di volta in volta alla moda dei nostri tempi; in oltre viene aggiunta una sedia corrispondente al periodo trattato dai bellissimi costumi. Ogni personaggio ha il suo colore d’appartenenza; per esempio Doralice il rosa, Isabella il viola Brighella il verde e via discorrendo. Tutte le sedie comporranno nel finale uno schieramento, stile talk show, dove siederanno i vari personaggi del contendere. Pantalone, con tanto di microfono e sfociando in uno stile da televendita porta a giusta conclusione l’opera. Luci e musica subiscono la stessa metamorfosi; le prime passano da semplice luce dall’alto a simbolo dell’elettricità alla scesa vera e propria delle luci di scena; la seconda, utilizzata negli stacchi da una scena all’altra da walzer a musica pop. La modernità viene altresì sottolineata da cellulari, walkman ed accendini. Forse l’intento di Pasqual è rendere evidente la modernità di Goldoni ad ogni spettatore: in qualsiasi epoca si rappresenti, in qualsiasi anno si decida di mettere in scena l’opera, è possibile adattarla perfettamente. In oltre sottolinea un aspetto della riforma: ossia il progressivo abbandono delle maschere della commedia dell’arte, dando alle opere scritte maggior senso di realtà alle situazioni create.

Varie le tematiche toccate: dalla decadenza della nobiltà, alla vanità femminile. La supremazia che tanto Doralice e Isabella vanno cercando è l’eterna lotta che si riscontra in diversi ambienti, in primis del conflitto fra nuora e suocera per accaparrarsi l’affetto dei maschi di casa. Non a caso, le due donne giocano con gli specchi, simboli del potere e della seduzione femminile, la bellezza, mezzo con cui intendono raggiungere l’obiettivo prefisso: i soldi con cui procurarsi abiti di lusso per essere sempre più belle e potenti.

Tutta la compagnia si dimostra in gamba, iniziando da Piergiorgio Fasolo, interprete di Brighella, fino ad Eros Pagni che volutamente si discosta dal registro degli altri attori, regalandoci una prova alta e baritonale. Al personaggio da lui interpretato, il compito di affermare la morale di tutta l’opera: il titolo non basta a fare un nobile; serve cervello e cuore.

Una commedia che diverte, che scorre piacevolmente, lasciandoci una piacevole sensazione.

 

La famiglia dell’antiquario

Dove: Al Teatro Argentina di Roma

Dove: dal 20 marzo al 3 aprile 2012