Testo e foto di Roberto Lippi



Al di fuori delle affollate rotte del turismo internazionale che approda in America Latina la Colombia è in grado di offrire al viaggiatore esigente emozioni davvero incomparabili. Unica è infatti la varietà dei suoi paesaggi, climi e colori: dalle cime ghiacciate della cordigliera andina, oltre i 5.000 metri, ai popolosi e verdissimi altipiani ove sorge la capitale Bogotà (a 2.600 metri di altezza). E poi, lungo le rotte del caffè e dei fiori (la Colombia è il primo produttore mondiale di orchidee), si giunge infine alle assolate spiagge del Pacifico o dei Caraibi, dato che il paese affaccia sui due oceani. Se a questi ingredienti si aggiunge la ricchezza della sua storia – precolombiana, coloniale e repubblicana – la varietà della musica, sempre presente e la frizzante vita culturale che si respira nelle città, ecco che questo Paese ancora poco conosciuto ai più, può risultare la meta ideale per un viaggio inconsueto e indimenticabile. Per questo nostro viaggio culturale e paesaggistico, abbiamo deciso di ripercorrere parte del lungo cammino che i primi conquistadores realizzarono nell’altipiano andino, risalendo il grande Rio Magdalena all’inseguimento del leggendario Eldorado e delle splendide ricchezze di cui, a ragione, si favoleggiava nelle assolate vie delle nascenti città costiere di Santa Marta e Cartagena de Indias. Il nostro itinerario inizia nel quartiere coloniale della Candelaria, nel cuore della capitale colombiana. E’ qui che il rude capitano e fine letterato Gonzalo Jiménez de Quesada  fonda nel 1538 la città di Santafè de Bogotà, in un luogo fino ad allora adibito al riposo del Zipa, il capo politico e religioso delle miti tribù dei Muisca, abitanti ancestrali dell’altipiano dediti al commercio del sale, di raffinati tessuti e della ceramica. La Candelaria colpisce il viaggiatore in primo luogo per la ricchezza della sua austera architettura coloniale. Sulle strade lastricate che si inerpicano verso le montagne che proteggono le spalle di Bogotà, si affacciano palazzi e case coloniali con i tipici tetti di tegole, i massicci portoni, le balconate e le grandi finestre protette da grate di legno intagliato. Siamo nel cuore storico e culturale della capitale colombiana, uno dei centri meglio conservati del Sudamerica, in cui il profumo di altre epoche si mescola, durante il giorno, con il viavai della gente. Gente i cui volti ed abbigliamenti riflettono la varietà ed i contrasti che caratterizzano questa metropoli andina: dall’inappuntabile gessato dei funzionari pubblici degli adiacenti palazzi del potere, alle divise un po’ retrò dei collegi pubblici. I tipici visi larghi e bruni delle popolazioni andine che confluiscono nel centro città, si mescolano con i colorati venditori di qualunque cosa, i sempre più frequenti turisti, gli artigiani e i commercianti delle piccole botteghe del quartiere. Moderne automobili e grossi Suv si contendono le strette vie non pedonalizzate con gli immancabili taxi gialli e i vecchi minibus, che sbuffano quantità impressionanti di fumo nerastro.



E’ questo lo spirito più autentico di questo barrio che nell’ultimo quindicennio ha saputo attirare artisti, scrittori e intellettuali che hanno riempito la zona di teatri, biblioteche e centri culturali. Ma che tuttavia continua ad essere la cerniera tra la città ricca e progredita del Nord ed i quartieri popolari del Sud. Un quartiere che ha mantenuto parte di quel sapore popolare ed autentico che si rispecchia in alcuni dei baretti e caffè popolari da cui proviene, insieme alla musica incessante, l’odore dellearepas (focacce di mais) e dell’ajiaco bogotano, la tipica zuppa locale ricca di diversi tipi di patate, mais, pollo ed erbe. Oggi certamente essi convivono con i ristoranti e i locali sempre più sofisticati della Candelaria artistico-culturale, nei cui arredamenti e cucina spicca la creatività che contraddistingue la città. Un caffè nello splendido cortile del palazzo coloniale che ospita la sede dell’antica “Società economica amici del paese”, vicino alla Plaza de Bolivar, darà conto di questa atmosfera sofisticata e un po’ retrò. Da non perdere, tra i molti luoghi da visitare, il recente complesso museale del “Museo Botero”, che comprende una parte coloniale (Casa de la Moneda) e vari ambienti espositivi dedicati alle opere del grande maestro colombiano e a molti capolavori di arte contemporanea che lo stesso Botero ha voluto donare al proprio paese, al fine di realizzare questo importante polo culturale. Per dormire nella Candelaria, che di notte però richiede ancora di certe attenzioni, oltre all’ottimo e sofisticato Hotel dell’Opera, vi sono numerose posadas ed alberghi tipicamente coloniali, per tutte le tasche. Partendo dall’enorme Piazza Bolivar, sui cui lati si affacciano l’imponente Cattedrale di Bogotà, il palazzo neoclassico del Parlamento, il bell’edificio del Municipio e lo sfortunato Palazzo di giustizia, in cui nel 1985 persero la vita, durante un sanguinoso tentativo di liberazione, magistrati, funzionari e i guerriglieri dell’M 19 che l’avevano occupato, il nostro viaggio prosegue risalendo la Carrera Settima. Questa lunga e trafficata arteria attraversa tutta la parte Nord di Bogotà, parallela alle montagne che sovrastano la città, sulla cui sommità meridionale rimane sempre ben visibile il bianco santuario del Cristo Caduto di Moserratte (3.152 metri), ai cui piedi si inginocchiano pellegrini di tutte le estrazioni (compresi, si dice, i sicari che popolano le zone più periferiche della città..). La prima tappa obbligata, a pochi isolati dalla Candaleria, è per una visita nello splendido Museo dell’Oro. Il Museo racchiude in forma davvero suggestiva le testimonianze artistiche e culturali della differenti civiltà insediate nel territorio colombiano prima dell’arrivo dei conquistadores. E’ possibile vedere un’impressionante quantità di manufatti in oro. Muisca, Tairona, Quimbaia, Tolima, Nariño, tanto per citare alcuni dei nomi dei popoli precolombiani nei cui tombe sono stati ritrovati i diademi, le collane e gli anelli rituali che oggi impreziosiscono i tre piani del museo. Da non perdere la suggestiva sala finale in cui, con giochi di luce ed effetti sonori, vengono presentati centinaia di manufatti in oro dalle caratteristiche figure stilizzate, zoomorfe ed antropomorfe, tipiche delle culture precolombiane. 



Alcune istantanee della città, risalendo la Carrera 7 verso l’uscita della città, ci mostrano un quartiere di piccole villette in mattoncini in stile inglese anni venti, con tanto di giardinetto e bow-windows, poi più a Nord, i moderni ed elevati palazzi in vetro-cemento del centro finanziario. Obbligata una sosta per un caffè, proseguendo sulla strada, nel piccolo quartiere di Usaquen. Si può scegliere uno dei tanti localini che si affacciano sulla piccola piazza di quello che era un tempo un villaggio, ormai inglobato nella città, che mantiene un’atmosfera distesa e cordiale e che ospita nelle sue vie, la domenica, un simpatico mercato di artigianato e bric-a-brac, molto amato dai bogotani. Superata l’estrema periferia Nord di Bogotà, con la sua corona di quartieri poveri brulicanti di traffico e persone, il paesaggio muta improvvisamente. Il verde dell’altipiano, a 2.600 metri d’altezza ma vicino all’equatore, colpisce per la brillantezza dei toni negli sprazzi di sole. Le case sparse sono circondate da pascoli folti, in cui pascolano quietamente mucche e pecore. Sul versante delle montagne, il paramo (la parte più alta della cordigliera, dall’importante e fragile biodiversità) si staglia con la sua tipica vegetazione bassa e scura. Ci dirigiamo verso la laguna di Guatavita, luogo magico-religioso della cultura Muisca. Guatavita è una piccola laguna situata nel cono di un antico vulcano. La leggenda dell’Eldorado (l’uomo dorato) nasce qui, poiché una volta all’anno, durante il solstizio d’estate, le tribù Muisca confluivano sulle sue sponde mentre il Zipa, ricoperto di polvere d’oro, veniva condotto su una balza dorata al centro del lago. Vi si immergeva poi in forma rituale, mentre dalle sponde le tribù, cantando, lanciavano monili d’oro per ingraziarsi gli dei. Oggi Guatavita è protetta da un parco e le sue sponde, che nei secoli sono state oggetto di avide ricerche, hanno finalmente ritrovato la pace di un tempo, interrotta solo dalle passeggiate di piccoli gruppi guidati di visitatori. Una sosta per mangiare patate salate e carne alla brace in un tipico ristorante popolare, un tempo forno del sale, e il viaggio prosegue. Il sale è un elemento determinante della cultura e dell’economia di questa zona della Colombia. Le enormi miniere di salgemma della zona di Zipaquirà hanno costituito fin dei tempi più remoti una risorsa strategica per la zona, tanto che uno dei prodotti centrali del commercio delle popolazioni precolombiane della regione era appunto costituito dal salgemma, estratto dalle miniere e raffinato negli improvvisati forni a carbone. Oggi appena sopra la piccola cittadina di Zipaquirà è possibile visitare una suggestiva cattedrale scavata nel cuore della miniera di sale. Si tratta di un enorme progetto architettonico di recente realizzazione (la cattedrale è ancora in costruzione), che fa seguito al crollo di una piccola cappella ottocentesca scavata dai minatori e crollata negli anni ottanta. Alla nuova cattedrale, non consacrata, si accede in visita guidata da una entrata della miniera, più avanti ancora in funzione. Gigantesche croci, suggestivi giochi di luce, statue e colonne, tutto realizzato nel salgemma, accompagnano il visitatore che si addentra nella miniera, scendendo fino ai 180 metri di profondità ove è stata realizzata un’enorme navata scavata nel sale. Per chi non soffre di claustrofobia, lo spettacolo è davvero seducente.




Da Zipaquirà, ci si addentra nella verde regione di Boyacà, in direzione del piccolo villaggio di Villa de Leyva, circa 170 kilometri a Nord della capitale. Il paesaggio lungo il cammino cambia con molta rapidità. Il verde diviene più scuro o più brillante, a seconda dell’altitudine della strada che percorriamo, ormai quasi tutta a 4 corsie. A partire dall’insignificante ponticello di Boyacà, luogo importantissimo però per la storia colombiana e latinoamericana, poiché Bolivar nel 1819 vi sconfisse in modo definitivo le truppe spagnole spalancando la strada all’indipendenza, il paesaggio cambia di nuovo in maniera repentina. Abbandoniamo infatti la strada principale per una “scorciatoia” che, superata l’ennesima montagna, apre su una vallata dai colori decisamente più mediterranei. La vegetazione cambia nei toni e nella tipologia. L’esuberanza dei verdi del piovoso altipiano viene via via sostituita da colori più caldi. Le montagne divengo più brulle e qua e la costellate di rocce spoglie. Il clima diviene progressivamente più mite e secco, mano a mano che si scende verso Villa de Leyva, situata a 2.118 metri sul livello del mare. Il piccolo villaggio di “Villa de Nuestra Señora de Santa María de Leyva”, oggi Villa de Leyva fu fondato nel 1572 al centro di un’amplia vallata dal clima differente da tutto ciò che la circonda, ove si coltivano addirittura olivi e oggi vigneti (anche se la qualità dei vini fa ancora desiderare). Il suo mercato ortofrutticolo del sabato attrae ancora una popolazione dai chiari tratti indigeni delle zone circostanti e ricorda che proprio qui era situato un importante insediamento Muisca, noto anche quale osservatorio astronomico, forse per la limpidezza del suo cielo stellato. Villa de Leyva ha un’elegante impostazione coloniale, con le sue strade lastricate di grandi ciottoli di pietra locale, le case ed i palazzi imbiancati e i balconi, in legno dipinto di verde, che traboccano di fiori. La cittadina, piccolo gioiello in mezzo alle Ande, è multo curata poiché essa è una delle mete turistiche preferite dai bogotani, che cercano il relax del fine settimana nelle piccole vie, nei caffè e ristoranti situati nei cortili porticati degli eleganti palazzi e nei negozietti di artigianato della zona. Ciò che colpisce immediatamente il visitatore è l’enormità della piazza centrale, rispetto alle dimensioni contenute della cittadina. E’ una delle più grandi della Colombia, dalla tipica impostazione militare coloniale, nella quale sembra ancora di vedere schierate le truppe, con i cavalli, gli archibugi e gli elmi che scintillano al sole. Vi si affaccia una bella chiesa dal massiccio campanile e l’elegante palazzo del municipio, con il classico loggiato in legno massiccio. Sulla piazza confluiscono le poche vie della cittadina, sulla quali è piacevole passeggiare – con qualche attenzione alle irregolarità dell’acciottolato – fermandosi a guardare le buone produzioni artigianali dei negozietti (nella cittadina si sono trasferiti molti artisti) o entrando a visitare i bei patii fioriti.



Molte anche le manifestazioni culturali e le feste di quest’angolo della Colombia dichiarato Monumento Nazionale. Spicca tra queste il colorato e popolare Festival degli Aquiloni di metà agosto. Da Villa di Leyva è possibile organizzare molte escursioni, anche a cavallo, nelle zone limitrofe: dal deserto della Candelaria (un pianoro semidesertico a pochi km dalla cittadina), alle suggestive lagune di Iguaque (7 laghetti di diverso colore sulle montagne circostanti), al vicino e coloratissimo villaggio di Raquira, dalla forte impronta indigena e caratterizzato da una notevole produzione di artigianato in ceramica. Per trascorrere qualche giorno, Villa de Leyva offre una grande varietà dihostal e alberghi di varie categorie, tutti accomunati dell’inconfondibile sapore coloniale. Si va dal sofisticato cinquestelle Duruelo, appena sopra la città, al singolare Hosteria del Molino La Mesopotamia, situato in un vecchio mulino in cui gorgoglia l’acqua tra i bungalow, all’indimenticabile Hotel Plazuela San Agustin, con i suoi ampi stanzoni dal mobilio antico e ricercato, che affacciano sugli splendidi cortili interni. Mangiare davvero per tutti i gusti, a patto di non far troppo tardi la sera (nella zona andina la gente non è particolarmente nottambula). Consigliamo, tra gli altri, il Ristorante Verde Oliva che è anche scuola di cucina, tanto per i ragazzi della zona che per le ricche signore che trascorrono il week end a Villa de Leyva. L’ultima tappa di questo viaggio nella Colombia della cordigliera centrale ci porta una quarantina di kilometri più a Est, di nuovo nel verde intenso in cui sorge Paipa, una cittadina conosciuta per le sue acque termali e per la vicina laguna di Sochagota, sulle cui sponde sorgono vari complessi ricreativi. In realtà, la nostra meta è la Casona del Salitre, splendido complesso coloniale a pochi km dalla cittadina, immersa nel verde dei pascoli e dei boschi di eucalipti. La hacienda fu costruita nel 1566 da Don Domingo de Aguirre, capitano della conquista cui venne encomendado un ampio territorio ove risiedevano gli indios Paipa e, in parte, i più bellicosi Sogamuxi. La struttura architettonica fu poi più volte rimaneggiata nel corso dei secoli, ampliandola ed adattandola ai diversi usi, tra i quali un convento e una guarnigione militare. E come da noi per Garibaldi, non poteva mancare tra gli ospiti illustri che vi hanno soggiornato il libertador Simon Bolivar. Oggi, l’imponente struttura ospita un caratteristico hotel de charme, con le poche stanze che si affacciano sul grande patio interno, al centro del quale troneggia un gigantesco eucalipto secolare. Nel cortile posteriore, una raccolta piscina di acqua termale dalle proprietà curative è a disposizione degli ospiti di giorno e – soprattutto – di notte. Alcune delle stanze hanno anche rustiche vasche termali interne.



La vista sulle verdissime colline circostanti, in cui si vedono pascolare placidamente mucche, pecore e cavalli, è davvero ritemprante. Nelle stradine sterrate attorno all’hotel, nelle quali si può passeggiare o andare in bici (disponibili per i clienti) fino alla laguna di Sochagota, spunta ogni tanto qualche contadino locale, spesso a cavallo o su vecchie motociclette da cross, con l’immancabile ruana (una sorta di mantella di lana) sulle spalle ed il cappello in testa. Al tramonto, il chiosco di legno a poche decine di metri dall’entrata dell’hotel, si riempie di uomini e donne del posto che, ruana in spalla e birra in mano, chiacchierano sommessamente come d’uso tra queste genti di montagna. E’ l’ora per un salto al bar dell’hotel per l’aperitivo davanti al caminetto acceso (di notte la temperatura è abbastanza rigida) e poi a cena nell’ottimo ristorante dell’hotel, che propone gustose zuppe locali ed eccellenti piatti di agnello o coniglio accompagnati, a seconda dei gusti, dai meravigliosi succhi di frutta tropicale preparati al momento (da non perdere la locale feijoa) o dai robusti vini cileni o argentini. Anche il ristorante riporta ad altri tempi: echi di un’epoca grandiosa e terribile, dalla quale risuonano i passi grevi degli stivali degli intrepidi nuovi padroni di Spagna e quelli sommessi degli indigeni ridotti in servitù. Al mattino, ritemprati dal bagno notturno nelle acque termali e da una robusta colazione a base di arepas e huevos pericos (cipolla e pomodoro) e approfittando di un buon massaggio nella beauty farm dell’hotel, si riparte per Bogotà. Con la nostalgia già a fior di pelle per quest’angolo di Colombia così evocativo per i paesaggi, la storia e il profumo del suo famoso caffè. Ma soprattutto per la straordinaria amabilità della sua gente, che non lesina mai un sorriso, un saluto affabile, un gesto di attenzione al visitatore, connazionale o straniero che sia.