Opere grafiche di Mimmo Paladino alla Galerie Bordas di Venezia

 

 

Testo di Michele De Luca

 

Mimmo Paladino (Paduli, Benevento, 1948) è uno dei massimi esponenti dell’arte contemporanea italiana. Pittore, scultore, scenografo e realizzatore cinematografico ha spaziato in tutte le tecniche artistiche, e dal 1979 adopera l’incisione in tutte le sue possibili versioni. Pur manifestando una cifra espressiva sempre riconoscibile, una sorta di “calligrafia” personale, gli elementi che determinano l’ immaginario di Paladino si concatenano con una logica formale segreta e misteriosa. Si tratta a volte di storie e leggende dell’ antichità, altre volte di fiabe e racconti della sue campagne sannite, altre ancora di sollecitazioni “letterarie”. Associata alla Transavanguardia italiana, l’arte di Paladino è frequentemente una allegoria della figura umana e della forma organica, rappresentate con tratti violenti e colori intensi e ridotte agli elementi espressivi fondamentali. Paladino è uno dei più significativi esponenti di questo movimento artistico conosciuto a livello internazionale e che include oltre a lui artisti quali Sandro Chia, Nicola De Maria, Francesco Clemente e Enzo Cucchi.

 

 

Paladino rappresenta lo spirito di questo movimento attraverso il suo concetto di un’immagine essenziale, ridotta all’espressione fondamentale, costruita dai segni semplificati ed eleganti di un alfabeto personale sconosciuto eppure, lo si percepisce chiaramente, denso di significati arcaici e metaforici. Nella sua ricerca artistica, ricorrono immagini che rimandano ad un universo arcano e primitivo; figure allegoriche abitano un mondo in cui convivono vivi e morti, teschi e scheletri, le caratteristiche maschere senza espressione. Enzo Di Martino, che segue da sempre la sua ricerca, avendone curato tante mostre (come, da ultimo quella dedicata alla sua scultura, allestita alla Pinacoteca Provinciale di Bari) e intrecciato con il Maestro una forma di rapporto simbiotico, dando alla sua parabola creativa una puntuale e sistematica “storicizzazione” con i suoi interventi critici (ha curato il primo volume del catalogo della sua opera grafica, mentre si è ora in attesa che venga pubblicato il secondo), ci dice a proposito di questo aspetto fondamentale che è per Paladino il “lavoro” grafico: “Per Paladino il segno è lo strumento indispensabile per affrontare il suo personale ‘combattimento per l’immagine’… Il fascino dell’opera di Paladino, espressa con qualsivoglia mezzo o procedimento, risiede nella sua allusiva, misteriosa e seducente ‘ambiguità’ formale.

 

Si tratta di un’ambiguità che tende a proporre interrogativi senza risposta che obbligano ad un ascolto paziente, ad una visione lenta e riflessiva. Nelle sue immagini compare spesso, ad esempio, la maschera, che vuole anche significare ‘persona’, dotata di una forte significazione simbolica. Ed anche forme di animali, in particolare il cane che richiama inevitabilmente alla mente certe incisioni di Dürer”.Sono parole tratte dalla presentazione del catalogo della mostra, veramente elegante e accattivante, “Mimmo Paladino. Opere grafiche” allestita nella Galerie Bordas di Venezia (nei pressi del Gran Teatro La Fenice (San Marco 1994/b) in occasione della 55° Biennale d’Arte, che presenta un’ampia selezione di grafica (dalle acqueforti degli anni ottanta come “Il sognatore o Figure semplici”, alle litografie degli ultimi anni come “Storia dell’aeroplano” o alla serigrafia e linoleum “Spirale d’idee”) e libri illustrati (come “Poesie” di Constantinos Kavafis, “Il lupo e l’agnello” di Esopo, “Il fuoco nel mare di Sciascia”, “Tartre” di Céline, “Voielles” di Rimbaud); il catalogo pubblicato per l’occasione, con testi critici anche di Hervé Bordas e Silvia Soliani.

 

 

La mostra ricostruisce il percorso unico di un artista che ha saputo continuamente confrontarsi con le tecniche incisorie. Da una parte per l’importanza dell’intero corpus, più di ottocento grafiche, dall’altra, soprattutto, per l’originalità perseguita da Paladino nella pratica della grafica, e in particolar modo per la molteplicità delle tecniche utilizzate, non solo all’interno di una stessa famiglia (come puntasecca e acquaforte) ma soprattutto con l’accostamento fra le tecniche più svariate, linoleum-serigrafia per esempio, oppure litografia-xilografia. Come se l’artista, invece di ripararsi dietro gli arcani di una precisa tecnica, cercasse di rimettersi in questione ogni volta e sorprendersi, scoprendo nuove formulazioni e mezzi espressivi; come lui stesso ha detto, “Mi piace condizionarmi alla tecnica, accettarne le regole, ma anche scombinarla quando è possibile” e, rivolto allo stampatore Bulla, “So bene cosa si può fare sulla pietra litografica, è quello che non si può fare che m’interessa”. La grafica, per lui, sempre “work in progress”, diventa un laboratorio per la scoperta di nuovi territori, parte integrante e prolungamento dell’opera.

 

 

 

Anche l’opera grafica di Paladino tradisce  la sua estrema consapevolezza che l’arte nasca solo dalla storia dell’arte”; tanto che lo stesso artista ha più volte affermato che la sua cultura visiva ha origine in lontane sedimentazioni e stratificazioni, in cui si sviluppano dialoghi immaginati tra lontani “echi” di grandi maestri dell’arte antica ed una concitata attenzione ad impulsi interiori e agli stimoli della contemporaneità. In questa complessa sovrapposizione storica e progettuale, le sue incisioni diventano “luogo” di impensabili (e improbabili) incontri tra figurazione e geometria, forme arcaiche e citazioni colte. Scrive ancora Di Martino: “Pochi artisti contemporanei come lui sono riusciti sono riusciti a comunicare con il passato in modo così autentico, motivato e profondo. Manifestando per tale via un mondo immaginativo tuttavia non distanziato dal nostro tempo e nel quale, con un particolare processo di ‘rispecchiamento’, ci riconosciamo, diventando anzi partecipi della proposizione poetica che esso rivela”.