Periplo dell’autoritratto nell’arte contemporanea in mostra a Forlì

La rassegna all’Oratorio di San Sebastiano è curata da Marisa Zattini

Testo di Michele De Luca

Nel presentare una splendida mostra dedicata all’autoritratto nell’arte (opere provenienti dalla raccolta iniziata dal cardinale Leopoldo dei Medici che si conserva agli Uffizi) che si tenne qualche anno fa’ a Palazzo Franchetti in Campo S. Stefano a Venezia, sede dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Antonio Paolucci dava un interessante suggerimento, che ci faceva in qualche modo da guida lungo il percorso espositivo, aiutandoci a percepire tutto il suo misterioso fascino: “L’arte è uno schermo protettivo che salva dall’annichilimento. E’ come la tuta d’amianto che permette di attraversare il fuoco senza essere distrutti. L’arte , però, è anche una lente deformante che restituisce equivoca e impura ogni forma di autoconoscenza”. Questo “imput” di Paolucci ci è tornato in mente visitando la mostra che si è inaugurata presso l’Oratorio di San Sebastiano di Forlì (perla del patrimonio architettonico cittadino, edificata tra il 1494 e il 1502 da Pace Bombace, un tempo sede della confraternita dei Battuti Bianchi, con il titolo “Doppio panico” Autoritratto, nata da un progetto ideato e condotto da Marisa Zattini che coinvolge diciotto artisti (Gesine Arps, Adriano Bimbi, Francesco Bombardi, Paola Campidelli,  Silvano D’Ambrosio, Vittorio D’Augusta, Giovanni Fabbri, Antonio Giosa, Graziella Giunchedi, Ana Hillar, Giovanni Lombardini, Daniele Masini, Stefano Mazzotti, Stefano Mercatali, Velda Ponti, Aldo Rontini, Guerrino Siroli, Marisa Zattini) e, per i loro contributi, quindici critici (Franco Arminio, Gabriella Baldissera, Antonio Bertoli, Roberta Bertozzi, Corrado Caselli, Giovanni Ciucci, Janus, Gianfranco Lauretano, Loredano Matteo Lorenzetti, Massimo Maisetti, Franca Mazzei, Adriana Pagnoni, Fabrizio Parrini, Luigi Riceputi, Domenico Settevendemie) avvalendosi anche della collaborazione di Gilberto Cappelli e Carlo Ravaioli.

 

Dopo la mostra del 2009 “Doppio Panico!” L’Arte di Vivere - pensata per celebrare il XX anno di fondazione della società IL VICOLO – e il secondo appuntamento “Metamorphosi” del 2011, questo “Autoritratto” del 2013 si configura come la terza partitura di un progetto unitario, “singolare/plurale”, teso a indagare l’Identità e l’Alterità. Il “corpus” comprende diciotto autoritratti realizzati nel formato del doppio quadrato alchemico (140 x 70 cm); c’è chi si è ritratto con pittura, con disegno, con scultura, con fotografia, con paesaggio, con sogno, con parola …, l’autoritratto oggi attraversa tutte le forme di espressione artistica e massmediatica con tecniche e soluzioni linguistiche diverse e spesso lontane tra loro, ma intese, da ciascun artista come “funzionali” a far emergere dall’opera quell’ “ignoto” e quella immagine (anche non “vera”, ma desiderata o inventata) che, prima che per l’osservatore che si troverà ad osservare l’opera, ciascun autore vuole disvelare a se stesso. Dice bene Gianfranco Lauretano presentando la mostra: “  È questa dunque la vera domanda che occorre porsi di fronte ad un autoritratto: non se l’autore era veramente così; ma cosa quell’autore voleva convincerci di sé come artista. C’è in tutti i casi a monte nell’atto di comporre un autoritratto una forte intenzione comunicativa: è proprio un tipo d’opera in cui l’artista sembra dare la massima valenza al “pubblico”, all’altro, a chi ha di fronte. Che senso avrebbe, sennò? Altre opere possono avere una storia e un esito più solitario, e nascere da una ricerca interiore, una sete di domande o di espressione di ciò che è molto più inesprimibile di sé. Ma perché fare un autoritratto? Per inviare esplicitamente il sé ideale al di fuori di sé, per affermare quasi con veemenza il bisogno di ascolto dell’altro”.

 

 L’autore che si ritrae in quell’opera è veramente così? Nient’affatto, aggiunge Lauretano, “mi vien da dire che non è neppure l’idea che egli ha di sé ad essere raffigurata nell’autoritratto. Si tratta piuttosto dell’idea che l’autore vuole che il fruitore di quell’opera abbia di lui, sia esso il lettore o il visitatore che ammira i dipinti o qualsiasi altro oggetto che rende in quel momento l’autoritratto. Nell’autoritratto, insomma, gioca un fortissimo ruolo l’ideologia che anima il lavoro di un artista”. Ci dice la curatrice, che è anche autrice di alcune belle opere in mostra: “Se Sartre scriveva ‘io sono le mie scelte’ e Aristotele imponeva che l’uomo fosse il principio dei propri atti, l’autoritratto che da anni andiamo perseguendo accoglie il riflesso e il bagliore di ciò che immaginiamo, sogniamo e sentiamo di ‘essere e non-essere’ attraverso i molti noi stesse che ci abitano e ci circondano. Cosa sono? Un guscio vuoto, un’impronta, un’ombra, un riverbero di luce, un profilo, una traccia in rispecchiamento multiplo. Accettare di eseguire il proprio autoritratto è gesto coraggioso e audace. È atto eroico per un corpo glorioso. Per rendersi porosi allo sguardo dell’altro.

 

È un ripercorrersi nel nomadismo di questo esilio che è la vita. Qual è allora il vero volto che ci individua allo sguardo degli altri in questa esistenza? Cosa scegliamo di noi, in permanenza? Come ci rileviamo nella ricerca della nostra identità? Paul Celan si concentrava sulla possibilità e sui modi della “comunicazione” – io e te - perché solo nel rapporto, nello scambio e nella comunicazione ci si individua, stabilendo la nostra identità”. L’allestimento è sovrinteso dall’architetto Augusto Pompili; la mostra è documentata in un numero “speciale” della rivista Graphie (Anno XV, n.64), trimestrale di Arte & Letteratura, interamente dedicato al tema dell’Autoritratto, che è stato presentato sabato 9 novembre 2013 alla Sala Lignea della Biblioteca Malatestiana di Cesena per festeggiare così anche il XV anno di fondazione della rivista, con una esposizione di tutti i numeri della testata editi dal 1998 ad oggi ordinati in teche nel Corridoio Lapidario