Le sue opere esposte al Centro Saint Benin di Aosta

 

La bella mostra è curata da Daria Jorioz e Enzo Di Martino

 

Testo di Michele De Luca 

 

 

Joe Tilson nasce a Londra nel 1928; si forma al Royal College of Art di Londra con Kitaj, Peter Blake, Allen Jones e David Hockney e, nel 1955, dopo aver vinto il Premio Roma, lavora e vive nella capitale italiana, dove conosce Joslyn Morton che studia con Marino Marini all’Accademia di Brera a Milano; si trasferiscono in Sicilia, a Cefalù, e poi a Venezia, dove si sposano nel 1956. L’artista inglese ha la sua prima mostra personale alla Galleria Malborough di Londra nel 1962 e nel 1964 viene invitato alla storica XXXII Biennale di Venezia, nella quale emerge ufficialmente il movimento della Pop Art e dove ottiene il primo riconoscimento internazionale. Interessato alle tematiche antropologiche, contamina archetipi e simboli di varie culture – dalle civiltà indiane d’America agli aborigeni australiani – con il linguaggio contemporaneo. Utilizza segni strutturali e modulari: lettere dell’alfabeto, giorni della settimana, riferimenti alchemici ai quattro elementi base (terra, acqua, aria, fuoco), o alle quattro stagioni, o ai punti cardinali, il mese lunare, il labirinto, la scala, gli enigmi. I lavori che vanno dagli anni Sessanta agli anni Novanta sono in prevalenza oli, collage e tecniche miste su legno, talvolta vere e proprie costruzioni (ziggurat, labirinti, etc.). Numerose le rassegne e le mostre internazionali che lo vedono protagonista in tutto il mondo: nel 2002 espone alla Royal Accademy di Londra, l’anno successivo a Montreal presso il Museum of Fine Arts, a Dallas e a Siena (santa Maria della Scala). Poi sarà alla Tate di Londra, alla Galleria Civica di Modena e a Bilbao; nel 2006 presenta opere di grande formato nella mostra “Terra, Acqua, Aria, Fuoco”, a Palazzo Doria di Loano. In Italia è rappresentato dalla galleria Giò Marconi di Milano. Nel 2009, a cura di Enzo Di Martino, viene pubblicato il volume monografico “Tilson, the printed works, 1963 – 2009”, edito da Papiro Art di Torino). Nel 2011 vince il Premio internazonale di grafica Do Forni (Venezia). Joe Tilson vive con la moglie Joslyn a Londra, ma, innamorato da sempre del nostro paese, trascorre i mesi estivi sulle colline intorno a Cortona e nella casa-studio di Venezia.

 

 

 

Per oltre quarant’anni, dunque, il suo lavoro si è svolto attraverso grandi costruzioni e rilievi, dipinti e sculture, grafiche e multipli: opere tutte di grande personalità, evocative e simboliche, ricche di significati e contrassegnate da una splendida fattura “artigianale”. Entrato nel movimento Pop inglese nei primi anni ’60, Tilson fu presto condotto in altra direzione dal chiarimento radicale delle sue idee più profonde e dalla disaffezione per gli odierni valori della vita urbana. Nell’ambito del movimento Pop, la personalità di Joe Tilson si caratterizza subito come una delle più forti e incisive: la sua ricerca imbocca una strada estremamente originale, ricchissima di implicazioni e sviluppi strutturali, linguistici, antropologici, poetici. L’artista londinese recupera, già ai suoi esordi, non solo il valore antropologico delle immagini moderne, ma anche il senso delle immagini archetipe della tradizione culturale, del nostro inconscio collettivo e individuale, rivitalizzandole attraverso il linguaggio contemporaneo e rendendo i simboli arcaici comprensibili e carichi di sollecitazioni e stimoli per la mente di un uomo di oggi.

 

 

La figura e l’opera di Tilson sono ora presentate al pubblico (fino al 4 maggio 2014) in una bella mostra al  Centro Saint-Bénin di Aosta, in Via Festaz 27, ad iniziativa dell’Assessorato alla Cultura della Regione Autonoma della Valle d’Aosta; curata da Daria Jorioz ed Enzo Di Martino, “Joe Tilson. Ritorno ad Aosta” – questo il titolo dell’esposizione e dell’elegante catalogo edito in tre lingue da Papiro Art – è stata espressamente concepita per il Centro Saint-Bénin e intende documentare i molti aspetti della ricerca espressiva di Tilson, attraverso un’ampia selezione di sculture in terracotta, legno e vetro, dipinti su carta e su legno, grafiche. A tali opere l’artista inglese, com’è ormai noto, non attribuisce alcuna gerarchia di valori, considerando ogni tecnica espressiva ugualmente efficace per rappresentare il suo complesso mondo immaginativo. La sua dimensione creativa, da circa sette decenni, si alimenta liberamente di fonti storiche e contemporanee, classiche e popolari, ponendo in gioco, accanto agli accadimenti sociali, la mitologia greca, la natura, le culture orientali e totemiche; gli elementi figurativi della sua arte, infatti, assumono per tale via una forte connotazione simbolica, come nel caso della spiga e del melograno, dell’uva e del pane.

 

 

 

Perché “ritorno” di Tilson ad Aosta? Il titolo della mostra si riferisce al fatto che l’artista inglese ha già esposto nella stessa città nel 1991 alla Tour Fromage e ha accolto con entusiasmo l’invito a realizzare una nuova mostra personale in Valle d’Aosta. Come ha voluto sottolineare infatti, presentando il catalogo, l’Assessore Joël Farcoz, “ Siamo particolarmente lieti di ospitare il ritorno di Joe Tilson in Valle d’Aosta, artista riconosciuto a livello internazionale, che sarà il protagonista di una delle iniziative culturali di eccellenza della stagione espositiva invernale 2013-2014 attuata dal nostro Assessorato”. Enzo Di Martino, che da vent’anni è vicino all’artista ed è autore di innumerevoli testi critici a lui dedicati), ci ha riassunto così la personalità e l’originalità del lavoro di Tilson: “Uno degli aspetti più sorprendenti del ‘fare arte’ di Joe Tilson è certamente quella sua straordinaria capacità di volgere a proprio vantaggio ogni materiale e qualsivoglia procedimento tecnico. La pittura e la scultura, il disegno e la grafica, il legno, il vetro e la ceramica, cioè tutti i mezzi dell’espressività artistica sembrano rispondere docilmente e compiutamente alle esigenze della sua cifra formale, alla manifestazione del suo personale, caratterizzato e affascinante mondo immaginativo. E’ infatti evidente che nella sua opera non esiste alcuna gerarchia di valori dipendente soltanto dai linguaggi e dai materiali utilizzati … Ciò avviene all’interno di una strategia espressiva tesa sostanzialmente alla manifestazione di una sua personale e sempre riconoscibile ‘calligrafia formale’ che appare indifferente nei confronti delle tecniche e dei materiali impiegati”.