Testo di Michele De Luca

A venti anni dalla morte una mostra alla Casa Museo Sartori di Castel d’Ario

     “L’arte di Celso Maggio Andreani è formata di  case, paesaggi urbani, ma anche qualche rara figura, non certo per l’incapacità di affrontare l’autonomia. E’ invece una pittura colta, complessa, quella del pittore sordo mantovano, che attraverso una forte personalità è riuscito a porsi all’attenzione del pubblico e ancora, soprattutto oggi, nel centenario della nascita, ha meritato di essere riproposto”. Così lo ricordava Marco Lué in occasione della commemorazione che, in occasione del centenario della nascita, avvenuta a Mantova nel 1909, venne ivi organizzata a cura di Arianna Sartori. Quella più che doverosa commemorazione, un omaggio comunque di grande significato, non andava certamente interpretata come una “riscoperta” dell’artista; di ciò non c’era bisogno, perché, anche se  poco ricordato nella sua città natale, durante la sua lunga carriera artistica, molta della allora critica ‘ufficiale’ e più autorevole si era espressa in modo lusinghiero; basti ricordare per tutti Francesco Arcangeli, il quale, nell’ottobre 1947, durante una sua venuta a Mantova in occasione di una rassegna artistica mantovana, ne aveva scritto: “Sotto un cielo dolce e fumoso, i colori dell’intonaco (dal rosa pesto al grigio, a quella tinta di caffè scolorito che intona Mantova, macerandosi di polvere e di pioggia) si chiudono entro case strette, esili: come personaggi umani d’un piccolo coro, d’una sommessa elegia. Un quadro modesto, forse, ma così sincero da rievocare i sogni che, possono fare certi occhi alla luce d’un tramonto mantovano; da farci nascere l’angoscia di non esser di qui; quella che ci punge quando ci sentiamo esclusi dall’intimo di una vita in cui non entreremo mai”.

     La Casa Museo Sartori di Castel d’Ario gli dedica ora una importante retrospettiva (“Celso Maggio Andreani (Mantova 1909 – Cortemiglia 1994). Dipinti e Disegni”) nel ventennale della morte”, presentata dall’artista nonché storico e critico d’arte Renzo Margonari. Con questa esposizione la Casa Museo Sartori presenta la prima Raccolta di opere, dei “Fondi & Archivi, infatti, sono qui custoditi vari “Fondi”, che comprendono dipinti, disegni, incisioni e xilografie, e gli “Archivi” che conservano, documenti, monografie, cataloghi di mostre, fotografie, ecc., di Artisti che hanno collaborato negli anni con l’intensa attività culturale, espositiva ed editoriale della Famiglia Sartori. La mostra è patrocinata dalla Regione Lombardia, dalla Provincia di Mantova, dal Comune di Mantova, dal Comune di Castel d’Ario e dalla ProLoco di Castel d’Ario. “Ricostruire la storia di un artista – ci dice Maria Gabriella Savoia – con una ricerca biobibliografica e il lento recupero delle opere, disegni e dipinti, e finalmente, in occasione del centenario della nascita, riuscire ad organizzare una mostra retrospettiva meritevole; questo è stato l’obiettivo che, oggi, Arianna Sartori ha raggiunto da quando alcuni anni or sono, ha esposto per la prima volta, una selezione delle sue opere. La formazione artistica di Andreani si completa prima, con la frequentazione dell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, quindi l’incontro con l’affresco fino all’arte del restauro: antichi capolavori gli sono stati affidati e da lui riconquistati all’originale splendore; la conoscenza e la grande passione per la pittura gradualmente trovano, nella ricerca, una autentica necessità e nella capacità d’invenzione il suo appagamento e finalmente l’imprescindibile riconoscibilità.

Per lui, dicevo, si può parlare di ricerca e di invenzione, di quegli stimoli che portano un pittore a diventare artista a tutto tondo, capace di fare vera poesia con il proprio lavoro;  assolutamente padrone della tecnica e del disegno, già tutte le carte disegnate esposte dimostrano genialità e immediatezza di segno: il carboncino è steso con determinazione, senza alcun ripensamento; questi disegni non sono preparatori per una qualche opera successiva, piuttosto finiti per se stessi, nati per il gusto, la passione di riprendere un contesto, uno scorcio, un paesaggio, una casa particolare. Proprio le case, con il tempo diventano le sue incredibili e riconoscibilissime peculiarità: Andreani stringe e focalizza l’attenzione su di loro, sulle singole facciate, le inquadrature sono determinate da sparate prospettive centrali: le case diventano i suoi soggetti, i suoi primi piani, i suoi ritratti e lui le cattura, le analizza, si diverte a cogliere qualsiasi loro caratteristica architettonica, l’intonaco screpolato che con il tempo ci rivela da sotto un arco secolare, l’impronta del tempo che passa, il decadimento, l’antico affresco del protettore della casa che il tempo sta divorando inesorabilmente; grandiosa è l’esplosione di rosso nell’opera “Facciata sul Naviglio a Milano”. Mario Pistono, che si è più volte interessato di Celso Maggio, nel 1981, annotava che “nel corso di una vita in funzione dell’ideale dell’arte, Andreani ha esperito ogni rapporto possibile con il pigmento colorante, coprendo ogni sorta di superfici atte a riceverlo, sperimentando tecniche le più disparate e soggetti svarianti dal classicismo degli anni scolari alle libere invenzioni suggerite dalle vicende esistenziali.”

E in effetti, una serie così densa di esperienze non poteva che  sfociare, negli anni della maturità, nell’incontro col tema congeniale inseguito da sempre, e cuiè le vecchie, sofferte facciate di case e palazzi del suo girovagare quotidiano: ne ha dipinte tante variandone, con incredibile fantasia, toni ed accenti in modo da rendere ad ognuna una autonoma fisionomia. Egli, come dice ancora Pistono, “sa cogliere nello sfacelo dei muri l’empito di sofferenza del mondo che cambia e che stravolge mpietosamente ritmi architettonici ed esatte geometrie, evidenzia varchi e rattoppi lasciati dall’uomo sui muri nell’avvicendarsi delle generazioni”.  “Porticati mantovani” e “Rotonda di San Lorenzo”, le due grandi opere dedicate a Mantova, eseguite su grezza tela di juta, come fossero strappi di antichi affreschi recuperati, nella loro monocromia, avvalorano, se ce ne fosse bisogno, le conoscenze tecniche e anche l’aspetto di pura sperimentazione di Andreani. Case, paesaggi urbani, campagne, ma anche qualche rara figura, non certo per incapacità di affrontare questo tema. A fugare anche questo dubbio ci basti guardare il bel dipinto “Mimi” del 1972, per il quale l’artista mette in atto la caratteristica scelta pittorica della bassa cromia, trovando anche per l’approfondita impostazione realistica, la soluzione ottimale nelle complesse posture di corpi, mani e volti con le relative diverse espressioni; “Operaia”, poi, è un quadro di forte contenuto sociale, efficace esempio di pittura realista degli anni sessanta.